la storia: da san genesio al «cima libera»

Lukas, la vita divisa in due: 3 mesi al rifugio, 9 da elettricista

BOLZANO. «Per nove mesi all’anno vivo a San Genesio con la mia famiglia e faccio l’elettricista: ho una piccola ditta che gestisco assieme ad altre due persone. Poi, da giugno a settembre, cambio...


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Per nove mesi all’anno vivo a San Genesio con la mia famiglia e faccio l’elettricista: ho una piccola ditta che gestisco assieme ad altre due persone. Poi, da giugno a settembre, cambio vita». Da 2006 Lukas Lantschner, 36 anni, gestisce assieme ad Heidi von Wettstein, il rifugio Cima Libera tra la Cima omonima e Cima del Prete, sul confine italo-austriaco.

Edificato nel 1891 per iniziativa del professor Carl Müller di Teplitz, dal dopoguerra in poi è stato gestito dal Cai: oggi è di proprietà della Provincia. Dispone di 20 posti letto e 60 cuccette.

A quota 3.145, è il secondo rifugio più alto dell’Alto Adige, dopo il Gino Biasi al Bicchiere (3.195) che si trova ad un’oretta di cammino.

Anche il Cima Libera fa parte dei 26 rifugi, per i quali il prossimo anno cambieranno le regole di gestione. Ma è facile prevedere che alla guida della struttura, raggiungibile dopo sei-sette ore di cammino, ci sarà ancora Lantschner.

«Di persone interessate - spiega Claudio Sartori, presidente del Cai Alto Adige - a gestire un rifugio ce ne sono sempre. Il problema è che questo non è un lavoro per tutti. In particolare nelle strutture “difficili” da raggiungere, il gestore deve sapersela cavare in ogni situazione sia per quanto riguarda la capacità di prestare soccorso agli alpinisti in difficoltà che per le riparazioni o qualsiasi altra emergenza. Nel fissare il canone d’affitto abbiamo sempre tenuto conto delle reali potenzialità di guadagno dei rifugi: per questo si va dai 1500 euro a stagione del Cima Libera ai 40 mila del Firenze».

Escluso dunque che lei faccia affari d’oro al Cima Libera, perché ha scelto di gestire questo rifugio?

«La passione. La voglia di fare cose diverse dal 25 giugno al 15 settembre».

L’estate 2014 è stata disastrosa.

«Il tempo non ci ha aiutato sicuramente. Del resto, se scegli di fare questo lavoro, lo metti in conto: la natura è così. Non puoi farci nulla: o lo accetti o cambi mestiere. Vale per noi come per i contadini; lavorano tutto l’anno, poi arriva una gelata o una grandinata che in attimo distruggono tutto. Certo è che in queste condizioni riesci a malapena a coprire le spese che sono elevate, perché ci si può rifornire solo con l’elicottero».

Quest’anno dovrebbe andare meglio.

«Sì. Il tempo ci sta dando una mano. Anche se in questo momento sta grandinando, ma è brutto un po’ ovunque».

Quanti ospiti avete?

«Una ventina».

Quante ore di cammino servono per arrivare al Cima Libera?

«Sette ore se si parte dalla Val Ridanna, sei dalla Val Passiria, 5/6 dalla Stubaital».

Il rifugio viene usato come base per le ascensioni a Cima Libera, Cima del Prete, Pan di Zucchero e Cima di Malavalle, c’è qualche altro motivo che porta gli alpinisti fin lassù?

«Sì, le guide alpine organizzano qui corsi di ascensione su ghiaccio. Noi offriamo l’ospitalità e ce la mettiamo tutta, perché gli ospiti si trovino bene, se possibile tornino e comunque ci facciano una buona pubblicità. In questo modo siamo riusciti a farci una clientela formata in particolare da italiani, olandesi e belgi».

I corsi sono già cominciati?

«Sì. Ce ne sono stati già 4-5 della durata di 3-4 giorni ciascuno».

Quante volte si è trovato a gestire un’emergenza?

«Capita almeno una volta alla settimana che qualcuno stia male».

E come si fa in questi casi?

«Se la situazione è grave si chiama l’elicottero, ma se il tempo è brutto bisogna arrangiarsi come si può».

Come?

«Con il telefono: si parla con i medici e si chiede cosa fare. Anche per questo è un lavoro di grande responsabilità».

La sua famiglia viene con lei?

«Io ho moglie e tre figli. Quando avevamo solo un bimbo e venuta su anche lei, ma adesso non è più possibile. Non puoi tenere tre bambini per due mesi e mezzo oltre i tremila metri».

Quante volte durante la stagione torna a casa?

«L’anno scorso, che era quasi sempre brutto, tornavo tutte le settimane».

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