Made in Italy ormai sparito

di Paolo Valente


Paolo Valente


Per AA Marketing e ora anche per il nostro vino esiste solo «Südtirol». Un unico marchio, un nome solo tedesco. Nessun valore aggiunto assegnato alla bilinguità di questa provincia. Ma a quanti si chiedono se questa terra plurilingue meriti o meno un nome monolingue si possono citare le parole di Walter Lorenz, rettore della libera Università di Bolzano. L’Alto Adige, dice in sostanza, è una terra che va incontro a grandi cambiamenti. I necessari tagli alle spese sono un segno esteriore che ci invita a cambiare mentalità. Anche le ricchezze spirituali, intellettuali dell’uomo sono risorse di valore, addirittura le più preziose che abbiamo. Il multilinguismo, il prender parte a diverse culture, proprio di questi tempi acquistano un valore superiore. Dunque il multilinguismo è una risorsa preziosa e proprio in quest’epoca di crisi economica se ne può riconoscere meglio la portata. Sempre per rimanere nel contesto della relazione tra economia e cultura e per non scomodare il rettore dell’università che per missione deve forse avere una certa apertura alla comunicazione tra le culture, si può citare ciò che ha detto il presidente della Provincia.
Durnwalder, la settimana scorsa, ha detto alcune cose per spiegare l’adesione del Sudtirolo alla candidatura del Nordest a capitale della cultura europea per il 2019.
“Siamo convinti del valore delle diversità, dell’esigenza di promuovere la specificità dei territori quando tutti parlano di globalizzazione”. “Noi, come terra di confine, riteniamo questa candidatura significativa per le differenze che abbraccia, e partecipiamo con le nostre particolarità, a cominciare dai tre gruppi linguistici che qui convivono e da un’esperienza di soluzione pacifica della questione delle minoranze”, ha detto ancora Durnwalder, parlando infine di “un mosaico di identità e di realtà culturali che fanno la ricchezza di questa macroregione”.
Dunque la diversità, il plurilinguismo, le identità plurali sono valori da salvaguardare anche in un contesto, come quello dell’assegnazione del titolo di capitale della cultura, che ha indubbie ricadute sul piano economico.
Del resto ognuno capisce, soprattutto dopo decenni di inutili conflitti, che è innanzitutto il nazionalismo a spingere in direzione del monolinguismo e della monocultura. Il fanatico Tolomei, non era lui a lamentarsi del fatto che a Merano, la capitale del turismo, il mondo economico fosse riuscito a mantenere molte scritte bilingui fino alla metà degli anni Trenta? “Troppo spesso - scriveva - Merano è chiamata’città cosmopolita’,’brillante centro internazionale di cura’, ecc. Sono appellativi che non conviene usare in prossimità della frontiera”. Ed è ora che “un’amministrazione cittadina veramente e sinceramente italiana restituisca alla città un volto italiano”.
Vent’anni prima, in piena Grande Guerra, l’amministrazione tedesco-nazionale della città del Passirio non ragionava molto diversamente. Scagliandosi contro la presenza di cartelli bilingui in città e nei dintorni, ordinava: “Non c’è veramente nessun motivo per tollerare la volontà di dare al Burgraviato l’apparenza di una zona mistilingue. Imprenditori e possidenti sono pertanto invitati a sostituire questi cartelli con scritte tedesche”.
Tolomei e chi lo ha preceduto (così come chi ne raccoglie l’eredità) probabilmente capivano bene che eliminando il bilinguismo davano la zappa sui piedi dell’economia. Tuttavia il primo aveva da realizzare il suo progetto di snazionalizzazione, gli altri da vincere una guerra. Ma oggi? Oggi c’è forse una guerra in corso tra diverse nazionalità? Oppure ci sono progetti di snazionalizzazione da attuarsi passo passo, una misura dopo l’altra? Non siamo invece arrivati a capire che il valore aggiunto di questa terra sta proprio nel suo essere incontro e sintesi di più culture? E non deve, questa convinzione (che certo, non è ancora di tutti), essere espressa in primo luogo proprio nel nome con cui ci si presenta? Sia esso su un cartello, su un pieghevole informativo o sulla capsula dei tappi delle bottiglie di vino?
Il logo con cui ci si mostra contiene innanzitutto l’immagine che si vuole dare di sé. Non è un fatto neutrale né può rispondere unicamente alle regole del marketing. Tanto più che, come dice Klaus Gasser della Cantina Terlano, “sappiamo bene che la vendita con la scritta tedesca, soprattutto all’inizio, richiederà degli sforzi maggiori, in particolare nei Paesi quali gli Stati Uniti dove l’Alto Adige è conosciuto in primo luogo con il suo nome italiano”. Allora, se c’è da fare uno sforzo, facciamolo per diffondere nel mondo l’immagine (e la realtà) di un Alto Adige - Südtirol plurilingue. E prosit!

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