Migranti: l’Alto Adige apripista in Italia dell’inclusione virtuosa 

Il progetto dell’Eurac. In molte zone solo grazie a loro si tengono aperti servizi e scuole



Bolzano. Perché, invece di fare tutta questa fatica nell'impedire l'immigrazione non ne usiamo almeno un po' per capire se possiamo “appofittarne”? Ad esempio: nell'arrivo degli stranieri si nasconde una qualche nuova opportunità di sviluppo? Bella domanda. Ma ancora più bella se la si fa guardando al mondo dalla montagna. O dalle campagne. Da luoghi lontani dalle pressioni sociali urbane in cui le persone si conoscono sì, ma sono sempre meno, non c'è forza lavoro, si rarefanno i contatti umani. «Non si dovrebbe farli andare dove capita, ammassarli e aumentare in pochi luoghi la percezione di insicurezza - dice Cècile Kyenge - ma avere anche con l'immigrazione un approccio olistico. Dove si prova a mettere insieme le cose, le istituzioni, si lavora su più livelli ma con dati e approcci scentifici». Come un buon medico. Che non ti da subito l'antibiotico ma prova a guardarti con un po' più di pazienza e poi decide la cura. L'ex ministra e parlamentare europea era ieri a Bolzano, all'Eurac. Perché sarà l'istituto di ricerca a coordinare il grande progetto “Matilde”, che tiene insieme 25 Paesi e parte proprio dalla montagna: inserimento e sviluppo. «Perché sono proprio queste aree e quelle rurali - spiega Andrea Membretti ricercatore Eurac e coordinatore scientifico del grande progetto europeo - a vivere e a soffrire un forte declino demografico, l'invecchiamento della popolazione e un senso diffuso di abbandono».

È un fenomeno chiamato “rarefazione sociale”. Dentro cui si disegnano scenari non solo di marginalizzazione culturale ma anche di crisi di mano d'opera. Ma è proprio qui che si stanno sperimentando forme di inclusione meno faticose, messa in opera di progetti di integrazione che riescono a produrre nuova ricchezza. E non solo nei rapporti umani. Come hanno mostrato di saper fare anche imprenditori altoatesini illuminati. E tutti i giorni la Caritas diocesana. In alcune zone, in Alto Adige ma anche in altre regioni d’Italia e d’Europa, l’arrivo di cittadini stranieri ha contribuito per esempio a far arrivare risorse economiche e al mantenimento di servizi di pubblica utilità come scuole, mezzi di trasporto e uffici postali. L’obiettivo del progetto “Matilde” è elaborare metodi e strumenti per guardare a queste esperienze con un approccio scientifico che permetta di misurarne l’impatto e di confrontare esperienze diverse sulla base di comuni indicatori. Per arrivare a questo risultato i ricercatori mapperanno i flussi e la distribuzione dei migranti in Europa ed esamineranno modelli di governance diversi.

Dalla dimensione europea si sposteranno poi a quella locale, portando avanti analisi e attività legate ad aspetti specifici dell’integrazione in 13 aree pilota.

A Cècile Kyenge è stato chiesto di far parte del comitato etico di “Matilde”. Verificherà il rispetto delle linee guida europee nei confronti dei "gruppi sensibili". Stranieri e migrantI.

Dottoressa Kyenge, perché parte dalla montagna?

La ragione sta nel provare nuove strade. Quelle vecchie mostrano la corda.

E perché?

Le realtà urbane sono quelle più complesse. Dove è più facile che si formi la percezione del fenomeno. Ma è proprio nelle città che si scarica il problema, aumentandone poi l'impatto con l'ammassamento in luoghi di accoglienza non diffusi ma concentrati.

Invece nelle aree montane?

Abbiamo riscontri molto precisi. Con percentuali altissime di integrazione, nascita e sviluppo di progetti che hanno portato lavoro dove non c'era e anche coesione sociale.

Ed è lì che si muove Matilde.

L'idea è provare a pensare agli stranieri non come emergenza ma come opportunità di sviluppo reciproco. Andando lì dove questa inclusione può produrre risultati. Ma c'è di più...

E cosa?

Il coinvolgimento a più di livelli di Stati, istituzioni del territorio, economie, volontariato. Non se ne esce se non ci si parla.L'immigrazione è un processo, va messo dentro gli altri processi, non isolato come una malattia. Bisogna provare a muoversi.

I governi non sembra. Ad esempio: i decreti sicurezza e le altre norme sono intoccate anche se cambiano gli esecutivi. C'è paura di perdere voti?

Mi sono imposta di non parlare di politica. Ma dico questo: le cose si cambiano dal basso. Per questo parlavo di processo. L'immigrazione va messa dentro i soggetti sociali ed economici e fatta muovere al loro interno. Mi spiego: in tante aree sono le stesse imprese che chiedono forza lavoro straniera che non trovano. In montagna e nelle campagne, tutte le situazioni di integrazione procedono in natura, senza imposizioni. Non ci sono conflitti. Ecco, alla politica va data questa indicazione.

Di mettersi ad ascoltare?

Di mettersi a guardare. Le cose , spesso, vanno avanti da sole. Basta che la politica parli con l'economia, le istituzioni con le associazioni. Senza ragionare solo in termini di polizia, tante volte sono le buone pratiche a risolvere i problemi. Certo, se si mettono centinaia di stranieri appena arrivati in quartieri già problematici, non si guarda alle esperienze già in atto e non si costruiscono modelli di integrazione è difficile.

Quali modelli?

Quelli già pronti a diventare un possibile sistema. Se non ci si tiene mano nella mano, istituzioni, Stati, economia, è difficile scambiarsi informazioni. Ecco, l'informazione è decisiva. Le esperienze positive vanno raccontate. Non solo le negative.

Ma i sovranismi, le destre anti immigrati avanzano...

Ma lo fanno soprattutto in territori marginalizzati. Nelle montagne poco popolate...

Come è successo in Emilia...

E come accade nei luoghi dimenticati, periferizzati, come si dice. Dove l'arrivo dello stranieri fa subito scattare le difese, la paura del diverso. Per questo serve gestire l'immigrazione con un progetto. Matilde è questo. Parte da situazioni , come ad esempio quella del turismo montano qui da voi, dove lo straniero è visto come una componente dello sviluppo. O nelle campagne che si spopolano, dove piccoli gruppi di immigrati contribuiscono a far ritornare la vita. Matilde propone 12 aree pilota e dal 2021, con Eurac capofila, si sperimenteranno iniziative per l'ingresso di stranieri nel lavoro. Bolzano può dare l'esempio. P.CA.

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