Monumenti: è stata persa un'occasione

di Giorgio Delle Donne


Giorgio Delle Donne


L’accordo politico della scorsa settimana che ha dato la possibilità ai rappresentanti del partito etnico localmente dominante di portare avanti un progetto di eliminazione di simboli fascisti rischia di riproporre la situazione che si è creata a Bolzano una decina di anni or sono, quando l’ala più oltranzista del partito etnico ha imposto al coacervo di partiti/persone che governava la città di cambiare il nome della piazza che ospita il Monumento alla Vittoria in “Piazza della pace”. La proposta di per sé poteva anche essere discussa, ma imposta da un partito etnico di una coalizione che governava la città e la Provincia formata dagli esponenti di un partito che rappresentava la quasi totalità della popolazione sudtirolese ed un insieme di partiti/persone che rappresentavano la minoranza della popolazione altoatesina - all’epoca i tre assessori provinciali italiani scelti dall’SVP avevano complessivamente 8.435 preferenze, e tutti insieme non avevano le preferenze dei leader dell’opposizione di destra -, è stata considerata dalla maggior parte dei bolzanini una forzatura, e non hanno colto l’occasione per elaborare un percorso storico comune.
Ma hanno colto l'occasione del referendum per condannare una classe politica delegittimata, che da decenni governava il Comune di Bolzano e la Provincia cooptata dall'SVP, incapace di esprimere una progettualità politica e culturale.
Dopo gli esiti del referendum del 2002 non c'è stato un ripensamento sulla sistematica delegittimazione popolare della maggioranza - caso più unico che raro!- che dalle elezioni comunali del 1985 caratterizzava la città, e, dopo avere deliberato un testo di spiegazione storica del monumento che, nella prima versione pubblicata nel gennaio 2004, aveva indicato con un errore di due anni la data della decisione di realizzare il monumento, si è arrivati alle clamorose elezioni del maggio 2005 - quando i partiti italiani della maggioranza hanno perso 4 consiglieri al primo turno ed altre migliaia di voti al ballottaggio -, ed a quelle di novembre, quando il Centrosinistra ha perso altri 3 consiglieri, riuscendo a vincere le elezioni al primo turno solamente grazie allo straordinario successo dell'SVP, che dal cilindro aveva tirato fuori per l'occasione anche un'italiana, paragonata a Rosa Parks, che ora è l'esponente di spicco della Lega Nord e che probabilmente diverrà presidente del Consiglio provinciale.
Ora il successo degli esponenti parlamentari dell'SVP, quelli che si vantano nei discorsi congressuali di "avere spremuto lo Stato come un limone", tra le risate dei delegati, impedirà un percorso di elaborazione storica comune, perché qualunque scelta sarà condizionata dal metodo utilizzato per avviarla e porterà gli altoatesini ad identificarsi sempre più in questi simboli fascisti, in una spirale continua tra arroganza SVP, debolezza e delegittimazione dei partner altoatesini di maggioranza, ed incapacità del centrodestra di uscire dalla nostalgia per il regime e lo Stato centrale che, oltre ad essere sull'orlo del baratro ed imparagonabile all'efficienza ed alla ricchezza della Provincia, non difende gli altoatesini anche quando al governo c'è una coalizione di centrodestra, sicuramente più interessata al consenso dell'SVP che al rapporto con i propri confusi e contraddittori esponenti locali.
Ma oltre alla questione di metodo vi sono anche questioni di merito discutibili.
Distruggere i simboli di un regime nel momento del suo sfacelo è comprensibile - anche se non dobbiamo dimenticare che alcuni simboli del regime fascista in Alto Adige sono stati distrutti da sudtirolesi antifascisti ma nazisti, e non dai partigiani!-, ma farlo settanta anni dopo è un segno di debolezza e pochezza politica e culturale.
L'opera di Piffrader, ad esempio, è molto più utile come monito del regime e delle forme di propaganda nella piazza per cui è stato progettato e realizzato che in un museo. La piazza, con il nuovo tribunale ed il palazzo che era destinato a divenire sede del partito e delle sue organizzazioni collaterali, è un museo a cielo aperto interessante da leggere e spiegare, mentre i ruderi delle aquile di Ponte Druso non spiegano nulla, a parte l'incapacità dell'amministrazione comunale di affrontare seriamente la questione.
Il Monumento all'alpino di Brunico si trova nello stesso sito in cui è stato realizzato nel 1938 il Monumento alla Divisione Val Pusteria, quella che era stata impiegata in Africa nelle imprese del colonialismo italiano, ma, distrutto dai nazisti locali l'8 settembre del 1943, è stato ricostruito negli anni Cinquanta dall'Associazione Nazionale Alpini e dedicato agli alpini, quindi con un'altra committenza ed un'altra dedicazione, oltre che con altre forme e dimensioni, rispetto a quello precedente. Nuovamente distrutto dai terroristi sudtirolesi nel 1966 è stato ricostruito e nuovamente distrutto alla fine degli anni Settanta. Ora è ridotto ad un busto, e definirlo un monumento fascista aumenta le perplessità tra quanti dietro il termine "depotenziamento" vedono un progetto di sostanziale eliminazione. La ricostruzione della storia del sito e dei monumenti che sono stati realizzati e distrutti potrebbe essere una scelta condivisibile, ma lo spostamento in una caserma risolverebbe i desideri di alcuni nazionalisti sudtirolesi, ma al tempo stesso potrebbe trasformare il sentimento nazionale di molti altoatesini in forme di nazionalismo di cui non avvertiamo la necessità.













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