il caso

Morì cadendo dal Padiglione W del San Maurizio. La famiglia chiede chiarezza

Il dramma il 20 aprile 2021. Secondo la famiglia, il giovane non sarebbe stato adeguatamente curato e controllato durante un ricovero nel reparto psichiatrico 



BOLZANO. Il dolore resta immenso, così come incolmabile resta il vuoto. Ma non c'è rabbia, né voglia di vendetta. Solo la ferma determinazione ad andare avanti. A due anni esatti di distanza dalla morte del ventottenne che il 20 aprile del 2020 precipitò dal padiglione W dell'ospedale San Maurizio, si è tenuta l'udienza per valutare il ricorso alla richiesta di archiviazione presentata dalla procura di Bolzano.

E oggi, proprio come due anni fa, la volontà dei genitori e del fratello del giovane, assistiti dagli avvocati dello studio Fava, resta solo quella di ricostruire con esattezza quanto accaduto, di avere giustizia e di fare tutto il possibile perché incidenti simili non si ripetano più.

Secondo la famiglia, il giovane non sarebbe stato adeguatamente curato né efficacemente controllato durante un ricovero nel reparto psichiatrico. «Per noi conta solo che venga fatta la cosa giusta: che si tratti di una o più persone o che il problema sia la struttura, non importa. Tutti noi troviamo la forza guardando al futuro, perché ciò che ha travolto la nostra famiglia non dovrà più ripetersi. E soprattutto non dovrà più succedere che una famiglia semplice come la nostra, si trovi a chiedere giustizia, dovendo provare molteplici strade».

E ancora, proseguono, «non è giusto voltarsi e dare le spalle a chi sta cercando di fare capire che se le cose non hanno funzionato, bisogna migliorare e cambiare le cose». Sottolineano i familiari: «In questo modo non si fa altro che perdere la fiducia nelle istituzioni, nella sanità, nelle persone. Dopo l’ennesima e pazzesca negazione abbiamo chiesto aiuto anche ad un altro esperto». Nell’aprile di due anni fa, il giovane venne colpito da episodi di crisi psicotica a fronte dei quali, su indicazione del medico di base, venne accompagnato nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Bolzano, dove venne ricoverato in regime “chiuso”, cioè nell’impossibilità di uscire dal reparto se non accompagnato.

Dopo dieci giorni il medico curante ritenne che la situazione fosse sensibilmente migliorata, al punto che il ventottenne venne trasferito al regime “aperto”, con possibilità di muoversi liberamente all’interno dell’ospedale. Almeno in teoria, visto che non aveva libertà di movimento, ma veniva spesso accompagnato e le visite venivano spesso negate, senza alcuna motivazione plausibile. Nonostante questo, quattro giorni dopo, il 20 aprile 2021, la tragedia. Il ragazzo precipitò dal tetto del quinto piano del padiglione W: vi era arrivato semplicemente aprendo una porta con maniglione antipanico non allarmata. La morte fu istantanea. Per quella morte, sul registro degli indagati vennero iscritti un medico psichiatra dell’ospedale, che avrebbe somministrato una cura risultata inefficace, e un infermiere del reparto, nei confronti del quale vennero indicate possibili responsabilità nella mancata sorveglianza del paziente.

La vicenda giudiziaria resta aperta anche sul fronte civile. In prima istanza, il giudice ha ritenuto inammissibile l’istanza di consulenza tecnica presentata sempre dagli avvocati dello studio Fava. Una consulenza tecnica di natura meramente conciliativa, che consentirebbe una definizione stragiudiziale della controversia che i legali bolzanini sono tornati a chiedere.













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