Niente saldi per la Svp

di Paolo Campostrini


Paolo Campostrini


In questi giorni arruffati di comprati e venduti, una delle poche certezze è che l’Svp non si mette in saldo. Mentre i suoi, a Roma, trattavano ai piani alti, per altri parlamentari è bastato mettere sul piatto un mutuo casa a tasso agevolato. L’Svp non si svende perchè possiede il cinismo dell’esperienza e la freddezza dell’abitudine: sono cinquant’anni che scende a Roma sapendo cosa chiedere e fino a che punto offrire. A guardarla con gli occhi di oggi anche l’autonomia rischia di venire trasfigurata in compravendita: pace in cambio di autogoverno, convivenza (a Bolzano) e collaborazione istituzionale (a Roma) per il denaro delle competenze. Come si vede, il livello non è quello dei transfughi del Fli. Per gente formatasi alla scuola di guerra di Benedikter, il governo Berlusconi si colloca dentro una strategia ampiamente applicata con gli esecutivi democristiani e socialisti, monocolori o pentapartitici, di minoranza o con appoggio esterno. A loro volta guidati da corsari bianchi delle marche scudocrociate che, in fatto di cinismo applicato alla politica, possedevano corazze diplomatiche assolutamente sconosciute ai praticanti della seconda Repubblica.
Per un partito capace di estorcere competenze inimmaginate a Moro, Spadolini, Andreotti e Craxi non deve essere stato difficile promettere un paio di generiche astensioni a proconsoli forzitalioti terrorizzati da Bocchino in cambio del tesoretto a saldo della quota variabile. Siegfried Brugger, che tra i tanti Obmann Svp è stato forse il meno machiavellico, ha confessato di considerare Roma «un limone da spremere». Gli altri pensavano di peggio.
Ieri, con Zeller, si è messo sulla scia di quel congresso meranese: «Fiore dopo fiore, abbiamo portato a casa un bel mazzo». Le metafore Svp non sono omeriche ma assolutamente realistiche. E mostrano la distanza che intercorre tra un partito capace di muoversi dentro una cornice tradizionalmente strategica e gli esecutivi italiani i quali, tolti quelli che consapevolmente avevano aderito al disegno autonomistico per affinità ideale e cultura politica, si sono sempre dibattuti tra i miasmi dell'immediato, dell'appoggio mordi e fuggi in vista di un approdo esclusivamente tattico. In questa luce la parabola dei governi di centrodestra è paradigmatica: sono passati nel breve volgere di una legislatura dalla trincea del Monumento al «Tiroclore in ogni maso», fino ad approdare all'accordo Fitto sulla toponomastica e ai ministri che riducono la Vittoria a modello di revisionismo post-nazionalistico. Con questi interlocutori l'Svp non ha avuto bisogno di vendersi. Le stavano già dando tutto quando ancora non erano saliti sul treno. A tal punto che il Parteiaushuss si è sentito in dovere di giustificarsi. Non lo avevano mai fatto. E, soprattutto, nessuno glielo aveva chiesto. Eppure i deputati hanno voluto chiarire: «Non esiste contropartita nella nostra astensione, era tutto già scritto nell'accordo di Milano». Due obiezioni. La prima: l'accordo è stato fatto con questa governo. La seconda: lo spazio temporale tra l'esito del voto blockfrei e il consiglio dei ministri che sdoganerà le norme è talmente ravvicinato che a pensar male non sarebbe solo Andreotti. Neppure per i rifiuti di Napoli Berlusconi si era prodotto in una accelerazione di questa tempra.
Durnwalder l'aveva sibilato ai suoi recalcitranti: «Con Berlusconi ci va meglio che con Prodi». E' vero. Prodi abbracciava tutti ai congressi del Kursaal, poi non cedeva un cent. Con la Biancofiore è stata una strada in discesa.
Resta da capire se è questa l'Svp con cui dovranno confrontarsi anche gli altoatesini. Un partito dove le spinte hanno smesso di essere ideali per diventare sempre più pratiche. Per il quale gli alleati possono essere intercambiabili e valutati secondo il loro grado di assimilabilità. In cui le sollecitazioni provenienti dalle lobby sono in grado di piegare dentro disegni brutalmente tattici ogni scenario politicamente compatibile. Capace di fare i conti con o senza l'oste. Un interlocutore pragmaticamente levantino nella pratica diplomatica ma ferreo nel perseguire l'interesse del proprio elettorato. Ormai poco sensibile alle affinità ideologiche e alla mistica autonomista. I vecchi democristiani sapevano che, al fondo, l'Svp era sempra stata così. Pd e Pdl dovranno impararlo in fretta.













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