Schützen e alpini: «Basta guerre»

Celebrazione comune, messa trilingue per i caduti. Ricordati i 10 mila morti russi sul fronte tirolese



BOLZANO. Si sono uccisi e odiati in guerra. La morte li ha uniti nel cimitero militare di San Giacomo. Ma anche il cimitero, come tante cose in Alto Adige, è diviso in due, area italiana e area sudtirolese. Per tradizione le celebrazioni di ricordo dei caduti delle guerre si sono svolte separate. Fino a due anni fa, quando il comandante degli alpini ha proposto ad Hans Duffek, presidente della Associazione veterani militari, custode e proprietaria del cimitero, «perché non proviamo a organizzare una cerimonia unica?». Duffek ha accettato, è andata bene e ieri per la seconda volta, d’accordo il generale di corpo d’armata Federico Bonato, la celebrazione di San Giacomo dedicata ai caduti di tutte le guerre si è svolta con una unica messa trilingue, tedesco-italiano-latino, con le tappe dedicate alla zona delle tombe dei militari sudtirolesi, italiani e infine russi. Anche questa è una novità di due anni fa. I russi sono impegnati in una operazione di scoperta della loro storia legata alla Prima guerra mondiale. A San Giacomo hanno edificato una cappella, aperta ieri da una piccola delegazione russa.

Alpini e Schützen. Ci si sta abituando. La messa celebrata dal cappellano della associazione dei veterani militari don Reinhold Romaner con i cappellani militari don Lorenzo Cottali e don Marco Masiero, le autorità (prefetto Margiacchi, tra questi, commissario Penta, questore Carluccio, ufficiali dei carabinieri, sindaco di Laives Bianchi, vicepresidente provinciale Tommasini, Gerhard Brandstätter). Alpini e associazioni dei combattenti, a fianco degli Schützen (con Klaus Ladinser), selva di spari a salve dei cappelli piumati e cori alpini. Sulle croci ci sono le fotografie di militari della prima e della seconda guerra mondiale, italiani, sudtirolesi, austriaci, ungheresi e russi. «Qui riposano insieme giovani soldati morti in guerre inutili», esordisce Duffek, «grazie al comandante degli alpini, che ha voluto una celebrazione unica».

Non vengono pesate le responsabilità.

«Nessuno è senza colpa», recita don Romaner, che parla più di pace che di guerra, «la pace è un dono fragile consegnato nelle nostre mani. La riconciliazione è un comandamento del Signore. I nostri caduti ci stringono le mani e ci chiedono “provateci almeno”». A chi pensa che la pace sia scontata, don Romaner indica con la mano verso est e ricorda che le stragi dello Stato islamico non sono troppo lontane.

L’appello al Comune. Il cimitero è un giardino di crisantemi ed erba ben curata. Duffek chiede più attenzione da parte del Comune: «Il cimitero costa 80 mila euro all’anno di manutenzione. La Provincia ci aiuta molto e anche la tutela delle belle arti, ma il Comune potrebbe fare di più».

La ricerca dei russi. La cerimonia è diventata ormai anche russa, in parte. Andrey Pruss, direttore del centro Borodina di Merano, accompagna il colonnello Shtern dell’esercito russo. «Stiamo recuperando la nostra storia perduta della Prima guerra mondiale», racconta Pruss, «Durante gli anni sovietici la grande guerra era tabù, perché era stata la guerra degli Zar. Sul fronte tirolese ci sono stati 10 mila morti russi. A migliaia furono prigionieri in queste terre, li impiegavano nei lavori ferroviari, stiamo trovando testimonianze significative a Fortezza». Importante per le famiglie è la ricostruzione dei nomi dei morti. «È un grande lavoro, siamo arrivati fare un nome a circa 600 sepolture. Fino ad oggi abbiamo trovato tombe di militari russi in undici cimiteri dell’Alto Adige. Scopriamo anche dei gioielli, come il cimitero militare di Brunico. Le croci sulle tombe dei militari russi sono in legno, ognuna con una foggia diversa». ©RIPRODUZIONE RISERVATA













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