Uploadsounds: rimangono in 13 a suonarsi il trofeo

Parla Gabriele Minelli, della Emi, che sceglierà i vincitori: «C’è qualcosa di nuovo nonostante i rischi di stereotipi»



BOLZANO. Delle 141 band dell’Euroregione (41 i gruppi trentini, 23 quelli Tirolesi e 37 ) iscritte a Uploadsounds, ne sono rimaste in gara 13. La giuria presieduta dal clavicembalista Claudio Astronio e composta esclusivamente da Christopher Storbeck (Striker Entertainment), Pietro Camonchia (Metatron Group & Tijevents), Wolfgang Schwericke (Bandtrainer.de), Aurelio Pasini (collaboratore di molte riviste musicali), oltre ai vincitori dell’edizione 2012: i Rebel Rootz, hanno scelto: - Mainfelt (Alto Adige/Südtirol)- Black Moose Talks (Trentino)- The Artificial Harbor (Alto Adige/Südtirol)- Prey (Tirol)- Wooden Collective (Trentino)- Illyrica (Alto Adige/Südtirol)- Junow (Trentino)- Skyshape (Tirol)- Bob and the Apple (Trentino)- The Cramps Project (Alto Adige/Südtirol)- Francesco Camin (Trentino)- (Eravamo) Sunday Drivers (Trentino)- Burning the ocean (Alto Adige/Südtirol). Adesso la palla passa a Gabriele Minelli della major discografica EMI e David Hebenstreit, produttore, musicista e conduttore radiofonico (FM4) austriaco. Saranno loro a scegliere i vincitori, dopo aver visto all’opera e dal vivo tutti i finalisti, il prossimo 14 giugno a Bolzano. Hebenstreit è un musicista, compositore e produttore austriaco di registrazioni e live performance del suo personaggio Sir Tralala. Come musicista è ospite in oltre 25 album pubblicati ed ha alle spalle quasi 1000 apparizioni. Compone e produce anche musica da film, ad esempio per il film The Fatherless (Die Vaterlosen). In veste di musicista, curatore e DJ ha collaborato a progettare estesi ambiti della scena musicale Club e Independent viennese e con i suoi contributi critici e di opposizione al dibattito sui principi dell’economia della musica stimola sempre la riflessione. Gabriele Minelli si occupa di musica da oltre 10 anni, prima come Marketing Manager del repertorio internazionale di Virgin Records, e poi, dal 2007, in qualità di A&R per EMI Music Italy. Ha lavorato con artisti come Tiziano Ferro, Subsonica, Club Dogo, Andrea Nardinocchi, Caparezza, Rolling Stones, Ben Harper, Chemical Brothers e The Kooks. Ha appena ascoltato i 13 brani rimasti in gara e gli chiediamo un suo giudizio.

«Li ho ascoltati, poi riascoltati, li lascio sedimentare, poi li riascolto. Un paio di gruppi mi sono piaciuto molto: sono nuovi, freschi, molto interessanti. Mi hanno incuriosito due cose: solo due cantano in italiano e non c’è un solo pezzo rap tra i 13 finalisti. Forse li hanno eliminati prima gli altri giurati».

E’ positivo o negativo cantare in italiano?

«Dipende da quello che i musicisti si pongono come obiettivo: se vogliono avere successo fuori dai nostri confini, l’inglese è più utile. Ma dall’altra parte c’è Jovanotti che è diventato famosissimo all’estero anche perchè canta in italiano. Il questo caso la lingua fa parte di lui e delle sue canzoni. La lingua serve essenzialmente per comunicare, come la musica del resto».

C’è qualcosa di veramente nuovo, ammesso e non concesso che sia ancora possibile trovare qualcosa di nuovo?

«C’è sempre qualcosa di nuovo, per fortuna. E non è impossibile fare e trovare nuova musica. I giovani ci provano, pur con tutti i loro limiti e con le difficoltà che trovano a sganciarsi da stereotipi culturali».

In generale i musicisti che ha ascoltato sono innovatori o tradizionalisti?

«Soprattutto sono legati alla tradizione. Molte band seguono dei generi e dei canoni ben precisi, ma lo fanno bene. Spesso si ispirano troppo a nomi ben precisi, fanno fatica a differenziarsi, e questa è la cosa più importante, anche se sembra che sia, ed effettivamente è, una scelta elitaria e originale. Molti si uniformano alle scelte della massa, ma si distinguono poi per la qualità. I Talkin’ Head, i Ramones, i New York Dolls e i rapper sono nati tutti insieme, eppure ognuno si distingueva dall’altro. Hanno molta influenza anche l’ambiente, la cultura, cosa si è ascoltato nel corso della vita. A molte cose li abbiamo abituati noi, noi della discografia e voi della stampa».

Anche in base alle canzoni di Uploads che ha ascoltato, quale genere piace di più ai giovani?

«Indie e new folk, direi».

Trova che sia diversa la musica suonata da queste parti da quella del resto dell’Italia o all’estero?

«Sì e no. Ad esempio mi ha sorpreso che ci sia così poca musica elettronica, dato che ha avuto e ha in Germania i nomi più illustri. In generale ci sono differenze. In Puglia va molto il reggae e o il reggamuffin. A Torino vanno molto il rap e la musica elettronica, in Sicilia un certo tipo di rock, qui un altro ancora. Ma comunque non ci sono differenze così nette e sostanziali».

In generale come sta la musica italiana? E la discografia?

«La musica italiana sta bene, è vitale, nonostante l’evidente disattenzione dei media che creano una frammentazione nell’industria discografica. Comunque tutto si sta muovendo, in modo dinamico. Il mercato discografico italiano è piccolo, ci sono pochi consumatori che spendono poco. In Italia manca l’educazione musicale. E non sono il primo a dirlo...»













Altre notizie

Attualità