L'INTERVISTA christine clignon presidente gea 

«Chi usa violenza contro una donna non accetta una relazione alla pari»

Merano. «un uomo che esercita violenza è un uomo incapace di accettare una relazione paritaria con la donna». è a partire da questo assunto che christine clignon, presidente di gea (centro...



Merano. «un uomo che esercita violenza è un uomo incapace di accettare una relazione paritaria con la donna». è a partire da questo assunto che christine clignon, presidente di gea (centro antiviolenza e casa delle donne, a bolzano), traccia un’analisi della violenza. un problema maschile, la violenza figlia di una società fondata su stereotipi rigidi, a loro volta figli della cultura patriarcale.

Come possiamo parlare del femminicidio?

Il femminicidio è la punta dell’iceberg: il 92% delle violenze avviene nel silenzio, in casa, mentre il femminicidio è visibile, perché diventa una notizia. Ha un intreccio di violenze pregresse, quindi per parlarne bisogna uscire da un’ottica di conflitto, dal concetto di raptus, dalla considerazione del contesto socioeconomico in cui avviene, dalla gelosia.

Si parla di dinamiche di controllo e di potere.

Sì. Per affermare il proprio controllo, l’uomo comincia con la narrazione del principe azzurro con la “sua” principessa. Poi si insinua nel rapporto della donna con la rete delle amiche, le svaluta, le mette fuori gioco. Fa lo stesso con la famiglia. Infine arriva a frasi del tipo: «Non è necessario che tu vada a lavorare». La isola. E a chi chiedi aiuto, quando sei sola? Poi se ci sono figli l’isolamento è ancora più forte: «Se non stai con me i bambini non li rivedi più». Il maltrattante arriva ad annientare la donna, il che nel confronto con la comunità ne provoca una doppia colpevolizzazione.

A questo proposito si è iniziato finalmente a parlare di violenza istituzionale. Com’è messo l’Alto Adige?

Da noi l’apparato giudiziario funziona meglio che altrove, ma servirebbe investire nella formazione riguardo alle dinamiche della violenza di genere anche nei tribunali.

E le sentenze nei confronti dei femminicidi?

Sono segnali forti per le donne, perché restituiscono l’idea che giustizia può essere fatta. E sono segnali altrettanto decisi nei confronti dei maltrattanti, perché questi sappiano che stanno compiendo un reato, e che questo reato sarà punito.

Perché c’è tutto questo pudore nel qualificare un femminicida come “il femminicida”?

Perché questa parola è come uno specchio, ci mette di fronte alla cruda realtà che una donna viene uccisa in quanto donna. S.M.













Altre notizie

Attualità