In barca contro il tumore al seno 

L’esperta: «Pagaiare riabilita la zona scapolo-omerale e fare gruppo aumenta l’autostima»


di Sara Martinello


MERANO. Un’imbarcazione millenaria è salpata dalla Cina per giungere fino a Venezia. E lì, nella laguna crogiuolo di culture, la “dragon boat”, la barca del dragone, è il mezzo con decine di donne meranesi – e non solo – combattono gli effetti collaterali delle cure del tumore al seno. E tutto gratuitamente, per la prima volta in Italia, grazie al patrocinio dell’Assistenza tumori della Provincia e alla tenacia di un gruppetto motivato e competente di esperti che dal 2011 porta avanti un fiore all’occhiello dell’ospedale di Merano, la terapia del movimento.

«I benefici sono almeno a due livello. Innanzitutto il movimento ad ampia portata e la ciclicità della pagaiata permettono di riabilitare la regione scapolo-omerale combattendo la formazione di aderenze e aumentando il drenaggio, a prescindere che la donna si sia sottoposta a mastectomia o a chirurgia conservativa. E poi il miglioramento della qualità della vita passa anche per un beneficio di pari importanza: fare gruppo, conoscersi, ritrovare autostima e fiducia in se stesse», spiega Valentina Vecellio, fitness trainer e specialista in comunicazione della scienza con un lungo curriculum che porta dalla Sapienza di Roma alla clinica universitaria di Colonia, arrivando fino a Bolzano e a Merano.

L’idea Vecellio la ebbe nel 2007, ma fu l’incontro con Elisabetta Iannelli, segretaria generale di Favo (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), e col direttore del centro senologico e primario di ginecologia al Tappeiner Herbert Heidegger a dare lo stimolo definitivo alla nascita del progetto, avvenuta nel 2011.

«Quasi una donna su otto soffre di tumore al seno. La terapia del movimento è un progetto di riabilitazione oncologica ginecologica che favorisce il recupero post operatorio, ma anche un maggiore funzionamento delle terapie e un netto miglioramento della qualità della vita, come ampiamente suffragato da migliaia di studi. Con la malattia una donna è costretta a ridurre il lavoro, se non addirittura ad abbandonarlo: si rende necessaria una riabilitazione in tempo utile. E col contributo dell’Assistenza tumori, che copre circa il 60% delle spese, lo sport si qualifica ancora una volta come meccanismo inclusivo, democratico, alla portata di tutte».

Per seguire il gruppo di donne che con cicli di 12 settimane di terapia al Tappeiner – cui sono indirizzate dal medico specialistico, che si tratti dell’oncologo, del chirurgo senologo o della breastcare nurse – Vecellio non percepisce uno stipendio. Si tratta di puro volontariato.

Ma l’entusiasmo con cui illustra i dettagli di ciò che in sette anni ha acquisito un tale peso nel panorama italiano è il segnale che per le donne con tumore al seno qualcosa può cambiare.

L’esperienza veneziana la racconta Daniela Marchiò, sostenitrice della terapia del movimento. Partendo da una storia. «

Già nel 500 a.C. era attestata l’esistenza delle cosiddette dragon boat, tanto che nel 280 a.C., alla morte del poeta Xan Yu, i fiumi della Cina si riempirono di queste imbarcazioni nel corso di feste dedicate a lui. Si tratta di una barca dalla forma stilizzata di un drago su cui si pagaia in 10 o in 20, tutte all’unisono, seguendo il dettato del timoniere a poppa. Quest’anno, dopo tre giorni di immersione totale nell’avvicinamento a questa disciplina sportiva e dopo un primo allenamento in rada, abbiamo solcato il Canal Grande. È stato un onore, un po’ perché il passaggio nel canale è riservato a pochi, un po’ perché sentivamo gli applausi dei veneziani e dei turisti. E soprattutto è stato un vero viaggio nella Venezia più sincera, quella dei panni stesi al sole, quella di Andrea Bedin (presidente del comitato regionale veneto della Federazione Italiana Canoa Kayak, ndr) che ci ha salutate con grande meraviglia, quella di Valeria Paolini, di Mestre, che dopo la diagnosi di tumore ha conosciuto la dragon boat ed è stata selezionata per i mondiali di Mosca del 2016. E ha vinto la depressione. La terapia del movimento è questo: un’esperienza di trasformazione con beneficio psicologico e avvicinamento alla pratica sportiva in tutte le sue sfaccettature». Ora le Pink Ladies altoatesine, inserite in una rete di 200 gruppi in rappresentanza di 26 Paesi del mondo, passano tre ore, ogni mercoledì, tra la palestra e la piscina del reparto di fisiatria del Tappeiner, e a Bolzano si riuniscono alla clinica Bonvicini. Si preparano al bootcamp in Val d’Ultimo: l’anno prossimo, infatti, vi passeranno due giorni in compagnia dell’associazione bolognese “Di Petto”. E tutte insieme ritrovano la forza che la malattia non di rado fa venire meno.

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