l'intervista

Mariarosa Lombardo: «Lascio la scuola dopo 40 anni di insegnamento»

La professoressa, vicaria e preside del “Merano 1” va in pensione Insegnante di lettere ma pure di informatica, racconta un mondo in continua trasformazione: «Il lavoro da fare è tenere i ragazzi a scuola»


di Jimmy Milanese


MERANO. Dal primo settembre, con l’inizio dell’anno scolastico, la professoressa Mariarosa Lombardo, vicaria all’Istituto comprensivo Merano I, non sarà più in servizio. Dopo quasi quarant’anni di insegnamento, gran parte spesi alle medie Segantini, non senza averci riflettuto a lungo ha scelto la via della pensione.

L’annuncio ai colleghi, dopo aver comunicato la decisione al dirigente Fabio Furciniti, è arrivato nel corso di uno degli ultimi collegi docenti, cogliendo tutti di sorpresa.

Professoressa, dopo il suo annuncio ci sono giunti numerosi messaggi di suoi colleghi che testimoniano quanto Lei sia apprezzata: non è che magari ci ripenserà?

La ringrazio ma no, ho preso la mia decisione: sofferta, ma definitiva. Ho annunciato in accordo con il dirigente il mio riposo a partire dal mese prossimo nel corso di un collegio docenti. Siamo nell’epoca di Whatsapp ma credo che ogni cosa abbia un luogo nel quale debba essere comunicata.

Che un po’ è sempre stata la sua filosofia come insegnante. Quando ha iniziato?

Sono alle Segantini dal 1985 dove insegno lettere; l’anno prima, appena entrata in ruolo, ero stata a Silandro. Quasi subito però iniziò il mio percorso anche come vicaria: era un 30 agosto, il preside Elio Baldessarelli stava andando in pensione e mi aveva detto che avrebbe lasciato volentieri a me la scuola. A parte qualche anno per motivi personali, da quel momento ho sempre esercitato anche il ruolo di vicaria. Lo spieghiamo, cosa significa? Sostituzione del dirigente, in caso di assenza, in tutte le sue funzioni. Una volta si chiamava vicepreside, anche se nel frattempo ho sempre continuato a insegnare, a parte gli ultimi periodi quando abbiamo avuto l’avvicendamento di diversi dirigenti e quindi sono stata distaccata dall’insegnamento. Ora, con il nuovo dirigente dell’Istituto comprensivo Merano 1, posso “cedere le armi”.

Se facciamo un salto all’indietro dove arriviamo?

All’inizio degli anni Settanta, quando alle Segantini - allora appena costruite - ci entrai come alunna. Da quel momento in poi ho visto tutte le trasformazioni: dalla palestra singola alla tripla di oggi e dal 16 agosto ci verrà consegnata un’ala della Deflorian, mentre il prossimo anno verrà completata l’intera scuola.

Lei che alunna era?

Facevo il mio dovere e ai ragazzi oggi insegno che le cose si fanno perché è giusto farle, non certo in quanto imposte. Se devo guidare un autobus, devo guidarlo bene e basta. Ricordo una foto di gruppo che facemmo sulle scale quando ero alunna: uguale a quelle di oggi. Mi ricordo dei cambi di insegnante come quello di lettere, sempre sofferto, e che c’erano molte più sezioni, anche se da questi ultimi due anni torniamo ad avere la F.

Come sono cambiati i tempi?

Abbiamo assistito ad un percorso di aggiornamento di tutte le pratiche didattiche: oggi è una scommessa sempre più aggiornarsi per stare al passo con quello che accade. Un esempio? Ho seguito il discorso della introduzione dell’informatica nella scuola e alla fine l’ho pure insegnata.

Esiste ancora la scuola della lezione frontale e dell’interrogazione alla lavagna?

Per quanto mi riguarda non ho mai chiamato un alunno alla lavagna. È fondamentale che per ogni ora di lezione tutti i ragazzi abbiano la possibilità di intervenire. Non certo interrogazioni in cui i ragazzi raccontano pagine di libri, mentre gli altri se ne stanno lì forse ad ascoltare. È il volto dei ragazzi che indica se quello che fai interessa o meno. Se c’è caos significa che non sono stata capace di dare loro quello che devo.

Lei ha scelto di intraprendere questa carriera o ci è arrivata per altri motivi?

Non ho scelto di diventare insegnante. Ero iscritta a ragioneria perché amo la matematica, poi per una serie di circostanze sono arrivata qui, incoraggiata da altri. All’ultimo anno delle superiori volevo perfino fermarmi ma un insegnante mi indusse a proseguire. Poi, tanti corsi e da lì è maturata la mia idea di insegnamento.

Che sarebbe?

Non si può entrare in classe con un manuale sottobraccio. C’è la componente dell’imprevedibilità nell’insegnamento, dove bisogna affrontare situazioni di un certo livello. Poi negli anni si sono assommati diversi incarichi impegnativi. Ad oggi la mia giornata è piena: sono andata via solo pochi giorni, ma la mia vita è sempre stata qui a scuola. La scuola, per un docente, è insegnamento e allo stesso tempo anche continuo apprendimento. Certo. Aggiungerei che in una unità didattica più che trasmettere nozioni si insegna come imparare a imparare. Ai ragazzi faccio il paragone con lo sci: posso insegnare tutte le tecniche, ma una discesa è diversa dall’altra e l’atleta è da solo con se stesso e col suo bagaglio di conoscenze che deve essere in grado di utilizzare. Ai ragazzi, semmai, insegno come risolvere problemi ed essere curiosi, in una società nella quale spesso non si guarda più dal finestrino dell’auto. Li sprono a guardare le cose piccole, magari fatte di silenzio.

Detta così, non le dispiace di andarsene?

Certo che sì, non sarà un giorno facile, quel primo settembre. Mi dispiace per i miei alunni della prima F e per tutti gli altri. Quest’anno sono stata referente Covid, quindi per vari motivi li ho conosciuti un po’ tutti. Sto cercando un posto per salutare tutto il personale e i colleghi, con i quali ho un ottimo rapporto.

Senta, sono cambiate le classi con l’arrivo dei nuovi cittadini?

Le classi non sono cambiate per l’arrivo di alunni stranieri. Agli ultimi esami di Stato, tra questi alcuni hanno raggiunto risultati esemplari. Le dico un’altra cosa. La motivazione allo studio che hanno alcune persone che arrivano dal resto d’Italia fa sì che questi ragazzi imparino il tedesco spesso meglio dei nativi altoatesini. È la famiglia il cardine del sistema: la qualità del tempo che dedica ai figli. Negli anni delle medie avvengono i più grandi cambiamenti nei ragazzi, quindi capire se qualcosa non sta andando per il verso giusto è fondamentale. I ragazzi devono imparare a comunicare di persona e non dietro uno schermo e bisogna cogliere i segnali di disagio. Ci sono tanti ragazzi che hanno una gran voglia di fare.

Parlando di schermi, questo lockdown ha cambiato la scuola?

Abbiamo assicurato nei momenti di lockdown un contatto continuo con i ragazzi grazie alle piattaforme didattiche integrate. Chi ha ricevuto un portatile in comodato, chi ha iniziato a utilizzare il computer per motivi didattici, insomma, tutti noi ci siamo fatti in quattro. Questi sono cambiamenti che avranno una grande importanza nel futuro. Ad esempio, abbiamo insegnato ai ragazzi e alle famiglie l’utilizzo di uno strumento di comunicazione tecnologica.

E il prossimo anno si ripartirà, ma senza di Lei...

Il lavoro da fare è tenere i ragazzi a scuola e lottare per questo. Se si chiede loro un sacrificio, spiegare che sarà finalizzato a quello. Affrontare i sacrifici sempre nell’ottica che questi sono necessari per realizzare le cose importanti.













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