La storia

Va in Ucraina a portare aiuti e torna a Merano con due rifugiati 

L’imprenditore Günther Tomasi e la moglie Olena partono per il confine fra Polonia e Ucraina con un carico di vestiti e medicinali e rientrano in Italia portando in salvo una donna e il figlio di dieci anni. «Meranesi, chi ha case sfitte le metta a disposizione dei profughi»


Ezio Danieli


TIROLO. Una storia di guerra, solidarietà e amore. A scriverla, e narrarla, l’imprenditore Günther Tomasi e sua moglie, l’ucraina Olena Kondick, che si sono recati nel Paese assediato dall’esercito russo per portare un carico di abbigliamento e medicinali. Sono tornati in Italia, nella casa di Tirolo, con due profughi, Tetjana Koshkir e suo figlio di 10 anni, Maxim, che ora vivono con loro. Tomasi lancia un appello ai meranesi proprietari dei tanti alloggi sfitti in città: «Metteteli a disposizione dei profughi perché ne hanno tanto bisogno».

Tomasi e la moglie guardano ciò che succede in Ucraina e partono. «Abbiamo subito deciso di portare là degli aiuti, incontrando però difficoltà di ogni genere. Dopo oltre un centinato di telefonate, tramite l’associazione di Bolzano Soniaschnik siamo riusciti ad avere precise indicazioni sul tragitto da fare e su dove portare il vestiario e i medicinali. Abbiamo caricato tutto su due furgoni e siamo partiti per la Polonia. Un viaggio terribile durato oltre 16 ore. Per fortuna che altri due autisti si sono avvicendati alla guida. Arrivati al confine polacco con l’Ucraina ci siamo resi conto della drammatica situazione dei profughi.

Sono a migliaia, quasi tutte donne con i loro figli, un grande supermercato ospita in questo momento oltre 400 persone che scappano dalla guerra. Vi sono non più di otto spazi riservati ai servizi igienici. Abbiamo scaricato il materiale che avevamo portato e con un cartello scritto a mano abbiamo segnalato la nostra volontà di portare in Italia qualche profugo».

Olena ha lasciato in Ucraina il figlio Yuri, che ha 27 anni e lavora come perito elettronico, mentre l’anziana mamma abita all’ottavo piano di uno stabile in una cittadina poco distante da Kiew. «Lì finora la guerra non è stata così pesante - racconta Olena - ma a ogni sirena mia mamma scende le scale e si rifugia in cantina assieme ad altre persone. Ho anche altri parenti che vivono in maniera allucinante questi giorni di guerra. Per mio figlio sono preoccupata anche se non rischia di essere inserito nell’esercito in quanto non ha fatto il militare per le conseguenze di una malattia che ha avuto».

Al confine polacco è il piccolo Maxim a notare il cartello scritto a mano. Avvisa la mamma che un istante dopo è già sul furgone di Tomasi. Il viaggio di ritorno a Tirolo non è una passeggiata. I coniugi meranesi, assieme alla mamma e al figlio in fuga dalla guerra, riescono a trovare un posto dove dormire a Varsavia, tappa prima dell’agognato rientro a Tirolo.

Tetjana Koshkir ha 44 anni, era ingegnere in una fabbrica di gas. Parla discretamente spagnolo e inglese, come il figlio. Per arrivare al confine polacco ha viaggiato su treni e piccoli bus, per farsi poi a piedi un ultimo tratto di strada prima di arrivare al punto di raccolta dei profughi. L’ex marito fa parte dell’esercito ucraino, il figlio lo sente tutti i giorni dall’Italia.

«Mi sembra di essere in una favola», dice Tetjana. Spera di iscrivere Maxim a scuola. Il problema della lingua è superabile, visto che il ragazzo parla discretamente l’inglese. Resta l’incubo di quello che sta accadendo in Ucraina. «La situazione rischia di peggiorare - dice Tomasi - per cui rivolgo un accorato appello ai tanti meranesi proprietari di diversi alloggi sfitti. Li mettano a disposizione degli ucraini che hanno bisogno di un gesto concreto di solidarietà».













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