Addio a Franz Thaler l’ultimo eroe antinazista scampato a Dachau

di Francesco Comina Franz Thaler se n'è andato finalmente libero nel paradiso dei giusti. Lo aveva ripetuto alcune volte nei giorni scorsi ai familiari che si erano stretti attorno al suo letto:...


di Francesco Comina


di Francesco Comina

Franz Thaler se n'è andato finalmente libero nel paradiso dei giusti. Lo aveva ripetuto alcune volte nei giorni scorsi ai familiari che si erano stretti attorno al suo letto: «Lasciatemi andare, voglio volare in paradiso». Ieri, alle tredici in punto, ha cambiato gradualmente colore e ha emesso il suo ultimo respiro. Una settimana fa aveva avuto una crisi respiratoria con febbre alta e una forte debolezza poi si era ripreso un poco ma non aveva più forze per mangiare. Era alimentato da una flebo e aveva chiesto di essere lasciato così, senza supporti tecnologici o accanimenti terapeutici. Voleva morire sereno, con quegli occhi lucidi e il sorriso abbozzato, fissando fino all'ultimo la moglie, i figli, i nipoti, i parenti.

Novant'anni tondi tondi vissuti in pienezza, con la mente fresca come l'aria del suo maso a Reinswald dove ho avuto la fortuna di salirvi molte volte, da solo o in compagnia di amici e uomini illustri come lo scrittore cileno Luis Sepulveda, quello argentino Mempo Giardinelli o come il premio nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel. Ci faceva vedere la bottega dove lavorava il cuoio con le foto di una vita appese alle mensole, con gli articoli dei giornali che hanno parlato di lui o con le varie edizioni del suo libro “Dimenticare mai”. Nella Stube si stava a chiacchierare con Franz e la moglie, si sorseggiava Holudersaft o si improvvisava un set di un film come è accaduto con le riprese dell'ultimo documentario del regista fiorentino Massimo Tarducci dal titolo “Thaler di nome Franz” (il film è stato proiettato anche nel palazzo della Regione a Firenze). Lo abbiamo visto giocare a carte con gli amici della locanda vicino alla segheria, all’imbocco della salita di San Martino, lo abbiamo sentito dire battute e ridere con quel riso timido e la voce flebile. Faceva fatica a parlare in pubblico ma io ebbi la fortuna di coglierlo una volta, nel gennaio del 2009, in grande spolvero al palazzo della Regione a Trento quando celebrammo con lui e con un altro resistente trentino, Renzo Ballardini, la giornata della memoria. Quando ha deciso, con la moglie, di ritirarsi nella casa di riposo di Sarentino, era felice di accogliere gli amici che di tanto in tanto andavano a trovarlo. Pochi mesi fa ci andai a trovarlo con Gina Abbate e appena ci vide entrare dalla porta della stanza si alzò e ci diede un forte abbraccio scandendo con sicurezza i nostri nomi. Voleva bene alle persone. Aveva un cuore sacro.

La storia del piccolo grande uomo di Sarentino è diventata una grande pagina della resistenza europea e forse mondiale: «Mi sento fortemente legato a Franz Thaler - ha detto il premio Nobel per la pace, l'argentino Adolfo Pérez Esquivel - perché quest'uomo ha anteposto i valori profondi della coscienza mettendo a rischio la propria vita mentre il mostro nazista seminava morte e distruzione nel mondo. Mi sento legato a Thaler perché la sua resistenza si collega sia simbolicamente che storicamente a quella che abbiamo vissuto noi nell'Argentina dei colonnelli, della repressione, delle uccisioni, delle sparizioni, delle carceri e delle torture».

Luis Sepulveda lo ha perfino ricordato in un suo recente libro dal titolo “Ritratto di gruppo con assenza”, il giorno in cui si inerpicò con la macchina lungo le strade della val Sarentino insieme alla moglie, la poetessa Carmen Yáñez (arrestata e torturata nel famigerato lager di Villa Grimaldi durante la repressione di Pinochet) e al fotografo franco-argentino Daniel Mordzinski. Carmen pianse, sull'uscio della casa di Franz dopo aver ascoltato la storia dell'artigiano nella sua bottega proprio accanto alla casa: «In un paesino tirolese – ha scritto Sepulveda - ci aspettava Franz Thaler eroe novantenne sopravvissuto ai campi di concentramento, antifascista ieri, oggi e domani, che si guadagna la vita incidendo splendide miniature sul metallo. (…) La macchina fotografica di Daniel si fissò sulle sue mani di uomo giusto perché l'essenziale della storia era là, e sulla stufa a legna che riscaldava quella piccola casa tirolese, emanando un calore generoso e necessario». Franz era filiforme e vestiva con i costumi tradizionali. Nel mare dei sommersi lui si è salvato. Ha camminato per almeno tre anni, dal '42 al '45, sul ciglio del burrone. Bastava un filo di vento per cadere nel vuoto e sparire per sempre. Era sotto osservazione da anni. Era un “Walscher”, un ibrido, un traditore della compattezza etnica che nel '39 aveva decretato la divisione in due della società sudtirolese. Era guardato a vista e di tanto in tanto irriso anche da amici e compagni di scuola: «La mia strada per Dachau – racconta - era segnata fin dal 1939. Nel giugno di quell'anno la Germania nazionalsocialista e l'Italia fascista diedero l'avvio al trasferimento dei sudtirolesi. Ci regalarono la cosiddetta opzione. (...). A quel tempo io, quindicenne, figlio di contadini, non sapevo né capivo nulla. Ricordo solamente il profondo spavento della gente quando seppe di quell'accordo». Nel marzo del '44, appena diciottenne venne arruolato nell'esercito nazista: «Ero disperato perché ero al corrente delle atrocità commesse dal regime nazionalsocialista». Decise di scappare in montagna: «Fuggivo dai nazisti che mi cercavano dappertutto. Vivevo come un animale selvatico, facevo attenzione ad ogni più piccolo rumore, cucinavo quello che trovavo. Un bel giorno venni a sapere che i nazisti erano venuti a casa per cercarmi e avevano minacciato la famiglia. Se non mi fossi consegnato avrebbero deportato i miei fratelli in un campo di concentramento. Allora mi lasciai catturare, anche perché un mio cugino aveva messo i militari sulle mie tracce. Lo feci solo per amore dei miei genitori che mi supplicarono di arrendermi»..

E così ha inizio il viaggio nei sotterranei della vita e della storia. Dapprima ci fu la speranza di farla franca. Il capozona nazista elogiò Thaler per il suo comportamento arrendevole. Gli diede ampie rassicurazioni sul fatto che non gli sarebbe accaduto nulla. Avrebbe dovuto soltanto fare il suo periodo di addestramento ed essere disponibile per eventuali missioni di guerra. Così sembrò per due mesi, da settembre a novembre del '44. Franz fece il suo addestramento, subì l'indottrinamento, si preparò alla vita del soldato. Ma quando ci fu da mettersi in fila per le vaccinazioni un brigadiere della polizia lo chiamò per informarlo che l'indomani sarebbe stato processato per diserzione. La corte marziale emanò la sentenza di condanna: dieci anni ai lavori forzati nel campo di concentramento di Dachau.

Per tre settimane rimase chiuso nel carcere militare di Silandro, poi iniziò il viaggio verso Dachau Franz ha avuto il coraggio di tornare a Dachau con alcune classi scolastiche nel 1985. Quando si superava il cancello di Dachau bisognava passare attraverso l'ufficio delle registrazioni. Da quel momento non eri più un uomo. Thaler ricorda: «Mi ordinarono di togliermi i vestiti, venni completamente rasato, ma in realtà molte ciocche di capelli mi vennero letteralmente strappate con le mani. Fui fotografato da tutti i lati. Subito dopo mi interrogarono a lungo. Ricordo bene che mi chiesero se ero cattolico. Risposi di sì e allora i soldati risero e dissero con rabbia: “Da ora in avanti imparerai un altro tipo di preghiera!”. Mi consegnarono un paio di mutande e una camicia. Mi guardai allo specchio: non ero più io, ero un altro». Quando gli americani lo liberarono era allo stremo delle forze. C'era una enorme concitazione. Ognuno cercava un pezzo di pane. Gli americani erano nervosi, temevano che fra i prigionieri potessero nascondersi dei soldati delle SS. Furono giorni frenetici. Franz ricorda di essere stato messo di schiena davanti ad un muro per essere controllato. Gli americani erano pronti a far fuoco con le mitragliatrici. Furono attimi infiniti. Thaler sudava freddo dalla paura. Poi capirono che si trattava di prigionieri e li ammassarono in un edificio dove dovettero rimanere per quasi sei giorni senza mangiare.

Tornò a casa il 19 agosto del 1945. Pesava poco più di trenta chili. Arrivò alla stazione di Bolzano. Era solo. Aveva la gioia nel cuore. Salì a Sarentino a piedi. Qualche giorno dopo, passeggiando per il paese, incrociò il cugino che lo tradì, avvertendo la polizia della sua fuga in montagna. Rimase per un po' a pensare se salutarlo o far finta di nulla: “Decisi di stringergli la mano. Io posso perdonare ma dimenticare mai”. I funerali di Thaler si celebreranno domani alle 14,30 nella chiesa di Reinswald.













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