Da Provinciale dei Francescani a pastore della Chiesa Luterana 

Georg Reider a Roma per il Sinodo protestante, verrà ordinato e avrà l’onore dell’omelia «Sono felice, e oggi dalla mia Val Sarentina saranno qui in venti a festeggiare con me»


di Nicole Dominique Steiner


Il 9 marzo 2011 il frate francescano Georg Reider lasciava il sacerdozio e entrava nella Chiesa Evangelica Luterana in Italia, CELI. Una decisione sofferta, combattuta, frutto di un lungo percorso spirituale ma presa con convinzione e fede profonda. Sette anni dopo, oggi 28 aprile 2018 nell’ambito della funzione religiosa che apre il XXII sinodo della CELI il decano, pastore Heiner Bludau, ordinerà Reider come pastore protestante.

Georg Reider è nato a Sarentino ed è stato francescano per 33 anni. Ha studiato Teologia a Bressanone e Innsbruck e Pedagogia della religione alla Pontificia Università dei Salesiani a Roma. Fino al 2001 è stato Padre Provinciale dei Francescani in Alto Adige. Parla con voce chiara e calma e il suo viso è dominato da un sorriso che parla di serenità interiore e di vitalità. L’ abbiamo intervistato prima della sua partenza per Roma.

Sette anni fa lei ha dichiarato che alla base della sua decisione di lasciare la chiesa cattolica c’ erano soprattutto quattro motivi: il celibato, il ruolo marginale della donna nella chiesa, l’emarginazione dei separati e divorziati e la scarsa democraticità.

«Sì. Devo ammettere che all’epoca sono stato forse anche troppo polemico, comunque in sostanza erano questi i motivi. Per il sacerdozio il celibato non è necessario e anzi, chi conosce la storia della chiesa cattolica sa che l’ arco di tempo in cui i preti hanno potuto decidere liberamente se vivere o meno il celibato è stato più lungo di quello in cui sono stati obbligati a farlo e in cui ancora ci troviamo».

È difficile per un sacerdote capire in fondo i suoi parrocchiani se non può condividere le esperienze di una parte importante della loro vita…

«Sì, e un prete cattolico deve proibirsi tante cose, deve sviluppare uno stop interiore che non bisogna mai superare. Questo non fa bene. E poi un prete spesso è anche solo».

Lei ha una compagna, questo ha giocato un ruolo nella sua decisione?

«Non ho voluto nascondere niente. Sì, ho una compagna, lei è nata nella ex DDR, è infermiera e ha anche studiato teologia protestante. Lavora a Berlino in una casa di riposo, in parte come infermiera in parte come sostegno spirituale».

Una relazione a distanza non è sempre facile…

«Certo, la distanza ha un suo peso, ma ha anche dei pregi. In un certo senso in me c’è ancora il frate, nel senso che ho bisogno di tempo per leggere, per scrivere, per restare da solo. Ma parliamo tantissimo, e anche se non ci vediamo sempre, è bello sapere che esiste».

Il ruolo della donna nella chiesa cattolica è una fonte continua di discussione e di dissensi molto accesi.

«Secondo me le donne hanno un carisma particolare, un approccio al mondo diverso dagli uomini e sono convinto che ci vogliano tutti e due nella chiesa e nel sacerdozio. A questo proposito mi viene in mente Erich Fromm che nel suo libro “L’Arte di amare” parlava di una religiosità d’impronta paterna e materna. Il tipo paterno chiede il rispetto di certe regole, anche in modo giudicante, e richiede certe azioni. Quello materno è senza condizioni, come la grazia che sta al centro del pensiero luterano. Ecco mi sembra che la chiesa cattolica sia d’impronta più paterna e quella protestante d’impronta più materna. È un vero peccato che la chiesa cattolica, proprio in virtù di questa differenza, non si serva della forza delle donne e neghi loro l’accesso al sacerdozio».

Come si arriva a Lutero partendo da San Francesco?

«Il carattere dei due è indubbiamente molto diverso, ma si completano nella diversità. Anche Lutero è come Francesco un uomo di grande interiorità, senza la sua spiritualità non avrebbe mai avuto la forza per condurre la vita che ha condotto. D’altra parte era un dotto, uno scienziato, mentre Francesco ha vissuto una spiritualità più diretta e non mediata».

Spirito e cuore. Lei in un certo senso è riuscito a chiudere questo cerchio?

«In un certo senso sì, alla fine sono riuscito a unire le due cose nella mia vita e ne sono felice. Ho lottato a lungo, ho combattuto, ho cercato il cambiamento dentro la chiesa cattolica finché ho capito che esisteva già la chiesa che ha realizzato tutto quello che stavo cercando. Una frase del Mahatma Ghandi mi ha illuminato: “Ognuno deve vivere in sé stesso i cambiamenti che si aspetta dalla società”. E in fin dei conti il vescovo Ivo Muser durante una conferenza stampa nel marzo 2018 ha detto ai giovani cattolici altoatesini una cosa molto simile: “Siete voi la chiave per i cambiamenti, dovete muovervi voi. Siate critici e scomodi”. Ecco!»

Adesso c’è un Papa che è gesuita ma che ha scelto il nome di Francesco.

«E che come San Francesco insegna più tramite le azioni e il suo comportamento che attraverso le parole. E quando parla, parla il linguaggio delle persone semplici. Lui ha cambiato l’atmosfera nella chiesa cattolica e anche l’apertura verso i protestanti durante il 2017, l’anno della riforma, non sarebbe stato possibile prima di lui».

Al sinodo della CELI che inizia oggi, lei non verrà soltanto ordinato pastore, ma le è stato anche chiesto di tenere l’omelia.

«Una richiesta che mi ha molto sorpreso, e per me un grandissimo onore. Una decisione molto coraggiosa del decano».

Sette anni fa lei diceva che avrebbe desiderato diventare pastore, ma che non osava sperare che questo un giorno sarebbe stato possibile…

«Infatti, e ne sono molto felice! Dentro di me porto sempre la vocazione del “Seelsorger”, del curatore di anime, che attraverso l’ordinazione riceve una forma e un riconoscimento della Chiesa».

Lei è nato a Pennes in Val Sarentino. Probabilmente la sua decisione di uscire dalla chiesa cattolica non è stata facile da accettare per la sua famiglia, considerato soprattutto che l’ Alto Adige vive un cattolicesimo molto tradizionale, in parte arretrato. E al di fuori della famiglia, non è mai stato attaccato per il suo passo?

«Per la mia famiglia non è stato facile. Ma non mi hanno mai abbandonato, mi sono sempre rimasti accanto anche se magari non sono riusciti a comprendere le mie scelte. E sono felice perché per la mia ordinazione verranno a Roma in venti dalla Val Sarentina. Anche tutti i nipoti! Per quanto riguarda la reazione di una parte della società altoatesina devo dire che non ho mai sofferto per questo. Del resto, è una mia decisione, riguarda solo me e non ho nessun obbligo o desiderio di giustificarmi, non ho mai chiesto e non ho bisogno che sia condivisa».

Come sarà la sua vita da pastore?

«Io vengo ordinato non come pastore ordinario con un contratto di lavoro com’è d’uso nella chiesa evangelica, la mia è una carica onorifica. A parte il grande valore spirituale per me non ci sarà alcuna conseguenza pratica. Non ci sarà nessuna parrocchia e non sarebbe neanche possibile, perché dirigo sempre la cooperativa sociale “Zentrum Tau” ad Appiano. Ma forse potrò fare sostituzioni a Bolzano o a Merano o forse con il tempo troverò un ambito più specifico in cui potermi impegnare. Mi piace comunque molto l’idea che con me la Chiesa Evangelica Luterana in Italia, i cui pastori vengono inviati dalla EKD, dalla Chiesa evangelica tedesca, ordini pastore un cittadino italiano».

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