«E pensare che volevo pilotare i jet militari» 

Intervista a Cecilia Gasdia. La celebre soprano veronese ospite dell’Accademia di Merano «Vorrei essere ricordata come la donna Sovrintendente che ha rimesso in piedi l’Arena»


JIMMY MILANESE


Merano. «Volevo diventare pilota di aerei militari, ma all’ epoca alle donne non era permessa quella carriera». E la lirica ringrazia, perché alla fine, Cecilia Gasdia il brevetto di pilota, seppur civile, lo ha conseguito ugualmente, ma nel frattempo è diventata uno dei soprani più apprezzati degli ultimi decenni e dal gennaio dello scorso anno è sovrintendente della Fondazione Arena di Verona.

Gasdia, soprano veronese che mosse i primi passi con il maestro Riccardo Muti, è stata ospite della Accademia Di Studi Italo-Tedeschi di Merano all'interno della rassegna “Dialoghi Merano” moderati dal giornalista Federico Guiglia.

La prima donna alla guida dell’ anfiteatro veronese che dal 1913 è anche il più grande palcoscenico lirico al mondo, ha voluto subito ricordare l’ amico Franco Zeffirelli, scomparso nemmeno una settimana prima del via al 97esimo Festival lirico veronese.

«Avevo 24 anni, ero all’ inizio della mia carriera e Franco mi scelse per interpretare La Traviata a Firenze diretta dal maestro Carlos Kleiber, proprio nell’ anno del ritorno di Zeffirelli nella sua città, dopo un lungo esilio». Ed è proprio con La Traviata di Zeffirelli in un nuovo allestimento che si è aperta la stagione veronese, spiega Gasdia, ricordando come la lirica in Arena sia cambiata rispetto a quando lei, sedicenne, iniziò la sua carriera come semplice comparsa, per poi entrare nel coro e, infine, debuttare come solista. «Zeffirelli ha prodotto sei allestimenti per Arena, mai Traviata, che amava follemente – racconta Gasdia – ma io sapevo che aveva fatto dei disegni per portare la sua Violetta Valéry a Verona e così il 9 gennaio di quest’ anno abbiamo iniziato un intenso lavoro che purtroppo Franco non ha potuto vedere realizzato, perché ci ha lasciati la settimana prima del debutto».

L’ opera forse più nota al grande pubblico del compositore Giuseppe Verdi che mette in scena “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas, in tutti gli allestimenti di Zeffirelli inizia con un flashback, spesso dal letto di morte di Violetta. Per la produzione in Arena, ricorda una commossa Gasdia: «Franco, consapevole che quello sarebbe stato il suo ultimo allestimento, ha deciso di far partire la sua Traviata con il passaggio di un corteo funebre di fronte a un sipario chiuso e io credo che in questo modo volesse proprio mettere in scena il suo di funerale».

L’ ultimo atto di quello che Gasdia considera «l’ ultimo uomo del Rinascimento italiano», artigiano del genio capace di controllare a menadito ogni momento delle sue produzioni, è andato in scena il 21 giugno di quest'anno, lasciando una eredità difficile da raccogliere. Difficile da raccogliere è anche l’ eredità della Fondazione Arena, già sull’ orlo del fallimento, spogliata del suo corpo di ballo e incapace di far fruttare quella capacità di attrarre fino a 13.576 persone a sera per quattro mesi di fila, pioggia permettendo. «Vorrei essere ricordata per quella che ha rimesso in piedi l’ Arena, ridato a Verona un corpo di ballo stabile, sul quale stiamo lavorando, anche se al momento non posso dire di più, e magari segnare una inversione a questo trend, tutto italiano, che sembra remare contro la cultura». Perché a Verona sono passati tutti i più grandi cantanti della storia, spesso timorosi nell’ affrontare quello spazio e un pubblico che può essere tanto amico quanto nemico. «In Arena si canta verso le ali, non contro il pubblico, impari presto», spiega Gasdia che in Arena ha cantato decine di volte. Abbandonata, per ora, l'idea di coprire l'anfiteatro per proteggere le recite dalle intemperie, quello che è cambiato rispetto al secolo scorso è l'aumento dei rumori della città. Ma quando cala il silenzio: «in Arenasi sentono i pianissimo di Anna Netrebko e allora anche la città si ferma», precisa la sovrintendente.

Appunto, cantare, quello che per decenni è stato il lavoro di Cecilia Gasdia, la quale tra Puccini, Rossini e Verdi e molti altri ha interpretato oltre novanta ruoli diversi, fino a quando i figli hanno fermato il suo viaggiare in giro per il mondo.

Un viaggio che è iniziato una sera, era l'inverno del 1982, e alla Scala di Milano Montserrat Caballé interpretava Anna Bolena di Gaetano Donizetti. È proprio Gasdia a ricordare quel momento: «Mi chiesero di sostituire la Caballé alla prima, perché si sentiva male. Alla fine, Montsterrat si presentò ugualmente e tirò due stecche che provocarono fischi dal pubblico, ma quando arrivò il momento di cantare il “Dolce Guidami”, tutti rimanemmo scioccati dalla sua bravura e venne giù il teatro con dieci minuti di ovazione. Poi, se ne andò, e lasciò a me tutte le repliche».

E forse, l’ essenza della lirica è proprio questa, passare dalle polveri all’ altare in pochi minuti. Per chi ha lavorato con Herbert von Karajan che riusciva a «precedere i cantanti», o con Carlo Kleiber che «dirigeva su un tappeto volante», i ricordi sono pietre, come l'amicizia con Renata Tebaldi.

«Renata non era sostituibile, su certi ruoli - ricorda Gasdia – e fu lei a seguirmi alla mia prima alla Scala, quando mi regalò una collanina che aveva indossato per tutta la carriera sotto i vestiti di scena».













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