Arte

L’affresco “eretico” pronto a tornare all’antico splendore

L’opera del ’500 scovata anni fa nei depositi del Museo Civico ed esposta in poche occasioni  sarà accessibile a tutti grazie al lavoro delle restauratrici dell’Opificio delle Pietre dure di Firenze. Un’Ultima cena che costò all’autore l’accusa della Chiesa per aver dato un volto allo Spirito Santo


Paolo Campostrini


BOLZANO. Sono arrivati e l'hanno guardato. E come lo guardano loro, un affresco dei primi del '500 non sa guardarlo nessuno. Hanno occhi, strumenti e c'è da fidarsi. Sono rimasti quanto basta, le due restauratrici dell'Opificio delle Pietre dure di Firenze, che è come dire la Nasa riguardo le antichità. Nei loro laboratori a due passi dall'Arno e da Santa Maria del Fiore hanno in consegna Caravaggio e Donatello, pavimenti a mosaico e stampe preziose oltre l'immaginabile. Ogni millimetrico, possibile danneggiamento, usura del tempo, scarto tra colori originari e arditi restauri di epoche meno documentate della nostra sono scandagliati e avviati al ripristino.

E dunque perché sono arrivate a Bolzano, al Museo Civico per prendere in esame un affresco non propriamente notevole, scovato nelle cantine e sfuggito ai bombardamenti? La prima ragione è che è importante per noi. Testimonia un'epoca di grandi sommovimenti religiosi sulla faglia di confine, che correva qui, tra Controriforma cattolica e offensiva luterana. Poi perché il Civico vuole finalmente esporlo ma non così gravato da masse di intonaco che gli fanno superare i 600 chili. Dunque, serve un intervento. Ma attentissimo e professionale. E ancora, perché Bolzano non ne ha tanti, di affreschi.

Infine, la ragione più affascinante: è un affresco proibito. Il suo autore finì infatti per incappare nella peggior accusa che, ai tempi, potesse capitarti: eresia. E col dito puntato addirittura da un papa, Urbano.

A guardarlo oggi non sembra ma agli inizi del '500 gli occhiuti prelati tridentini, che vedevano "riformati" piovere da ogni passo alpino per intaccare la vera fede, avevano individuato un particolare che poteva essere oggetto di accese dispute teologiche. Si tratta, ecco il soggetto dell'opera, di un'Ultima cena. Ci sono tutti. Da Gesù a Giuda, ritratto con il mano la sacca con i trenta denari frutto del tradimento del Messia. C'è anche lo Spirito Santo. Ma è dipinto con volto umano.

Qui, la possibile eresia. La dottrina che era stata invece elaborata per recuperare, anche sulla questione della Trinità l'ardore delle origini, prevedeva che lo Spirito fosse, appunto, puro spirito. Niente sembianze terrene, capaci di scombinare la perfetta proporzione ed equilibrio tra le tre nature divine che la compongono: doveva essere rappresentato da una colomba bianca. Simbolo di nitore e di purezza. Da qui iniziarono i guai per l'affresco. Ma da qui nasce l'interesse nostro per lui, oggi.

Al di là del suo valore artistico, che intercetta solo in parte l'afflato estetico del pieno Rinascimento, anche se ormai quasi esausto, quello che rende quest'Ultima cena importante è il fatto di essere testimonianza di un momento decisivo nella storia della Chiesa. L'autore, certo inconsapevolmente, era finito per precipitare in un frangente in cui l'arte stava per cedere il passo alla dottrina, la cura formale all'ideologia. In mezzo a dispute che avrebbero poi fatto precipitare mezza Europa in un vortice di guerre religiose (al motto di "cuius regio eius religio", ogni regione, ogni popolazione doveva uniformarsi alle scelte confessionali del suo principe) e dove anche questo territorio, a cavallo tra la spinta controriformistica romana e l'offensiva riformata, tra la cattolicissima Austria e le meno assimilabili Svizzera e Germania, subiva le conseguenze di questo nuovo clima politico e sociale.

Dipinto nel 1524, l'affresco adornava il vecchio ospedale bolzanino di Santo Spirito, nella sua Spitalkapelle. Un ospedale, oggi collocabile tra la chiesa dei Domenicani e la Posta centrale, riservato ai "borghesi" e dunque ai cittadini e per questo installato dentro il borgo e non al di fuori di esso come quello dei viandanti e dei lebbrosi. Prima della Grande guerra l'affresco passa al Museo civico ma qui fa perdere le sue tracce. Forse spostato, forse collocato in un luogo senza poi notificarlo, sfugge anche ai bombardamenti prima di riaffiorare, pochissimi anni fa, nei depositi del Civico. I quali, proprio in quei mesi erano finiti oggetto di un vasto programma di ricatalogazione voluto dall'attuale direttore, Stefan Demetz.

Era appoggiato al muro. Nei primi mesi successivi al suo recupero venne effettuato un primo esame e messo in programma anche un parziale restauro. Lo prese in consegna Verena Mumelter, nota restauratrice bolzanina che lo ripulì e lo presentò finalmente al pubblico. Ma un pubblico ristretto perché dietro l'affresco restava, a renderlo non allestibile, una grossa massa di intonaco. Scomparsa improvvisamente Verena Mumelter, assessorato comunale alla Cultura e direzione museale decisero infine di iniziare la procedura per giungere ad un intervento finalmente conclusivo sull'affresco. Da qui la decisione di chiedere aiuto al più grande istituto di restauro, l'Opificio della Pietre dure di Firenze.

Dopo mesi di attesa e di scambio di immagini e di documenti, nei giorni scorsi due tecnici dell'Opificio sono giunti a contatto con l'affresco. Lungo esame, consultazioni e il ritorno a Firenze con l'impegno di stilare un preciso protocollo per definire la scaletta degli interventi. Con questo supporto, l'affresco verrà liberato attentamente dal suo peso e murario e finalmente esposto.

«Il problema - dicono i funzionari municipali - sta nell'asporto del pezzo di parete che è rimasto sul retro dell'Ultima cena. Usando la tecnica dello strappo, per trasportare l'affresco si è tenuto legato all'opera una gran quantità di intonaco». Il promemoria dell'Opificio, ora in elaborazione, finirà nella mani dell'assessora Chiara Rabini che col direttore del Museo civico avvierà così l'iter del distacco e del definito restauro. Si potrà finalmente fermarsi ad osservare una delle poche rappresentazioni umanizzate dello Spirito Santo risparmiate dalla Controriforma tridentina. Gesù, tra i suoi apostoli, sembra non dare molta importanza alla questione. E anche oggi non correremo il rischio di scatenare una guerra. Ma l'affresco sarà qui a dirci che tutto è stato possibile. Anche che sia arrivato, quasi intatto, fino a noi.













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