LIBRI

Torna  la Trilogia della Pianura di Kent Haruf



Oscar Mondadori riporta in libreria la “Trilogia della pianura” di Kent Haruf, in seguito ad un accordo con NN, l’editore indipendente che l’aveva in catalogo fino ad oggi. La traduzione è affidata Fabio Cremonesi. A maggio uscirà, sempre per Mondadori, anche una nuova edizione de “Le nostre anime di notte”, romanzo slegato dalla trilogia ma sempre ambientato nell’immaginaria cittadina di Holt, in Colorado.

È, questa, un’ottima occasione per riscoprire uno dei grandi successi letterari dell’ultimo decennio. Pubblicati originariamente fra il 2015 e il 2016 i tre romanzi della “Trilogia della pianura”, nell’ordine “Canto della pianura”, “Crepuscolo” e “Benedizione”, consentono al lettore di intraprendere un bellissimo viaggio dentro un’umanità periferica, spesso sofferente, ma piena anche di sentimenti, generosità e passione. Il microcosmo creato da Haruf, scrittore spesso accostato ai grandi della letteratura americana, da Faulkner a Hemingway al più recente Carver, è quello di una comunità delineata in maniera molto precisa, nei suoi rapporti affettivi e familiari ma anche nella sua geografia, di strade, negozi, fattorie, una comunità assediata da ogni lato dalla natura americana, dai grandi spazi raccontati anche da McCharty, fra gli altri.

A differenza dell’autore di “Meridiano di sangue” e de “Il passeggero”, però, qui non abbiamo la violenza epica e surreale della frontiera. Gli abitanti di Holt, con le loro vite ordinarie di allevatori, studentesse universitarie, ubriaconi, ragazze-madri, assistenti sociali, ragazzini allevati in maniera molto distratta, vengono raccontati con un tono che è al tempo stesso partecipe ed incredibilmente lieve.

Haruf prova per loro dell’affetto, questo è evidente: ma non lo esibisce. La scrittura rimane pudica, asciutta, anche quando racconta situazioni che si presterebbero all’uso di una certa retorica sentimentale. Prendiamo uno degli episodi su cui si regge la saga, e che ritroviamo da un libro all’altro: una sedicenne incinta, cacciata di casa dalla madre, viene accolta da due vecchi fratelli, due taciturni allevatori di bestiame che vivono soli, nella pianura, le giornate sempre uguali, scandite dai ritmi del lavoro al ranch. Poche parole vengono dette, non ci sono, dietro a questa situazione, secondi fini, e nemmeno motivazioni di carattere “altro”, religioso.

Solo bisogni speculari che si incontrano, da un lato quello di Victoria di essere accolta, di avere un riparo, dall’altro quello dei fratelli Mc Pheron di fare spazio nella propria vita a qualcosa di nuovo, che porti calore e confronto. È il miracolo di una nuova famiglia che si crea, sghemba, forse, ma reale. E il bene fatto, sembra ci dica lo scrittore, prima o poi viene restituito: i rapporti che si sono creati resistono anche alle inevitabili separazioni a cui la vita con il suo scorrere ci costringe, alla distanza geografica. Altre volte le vicende raccontate sono più dure.

Compaiono gli spettri della povertà, dell’ignoranza, delle dipendenze, gli abusi sui bambini, la solitudine. Il bilancio di vite che non sono andate sempre come avrebbero potuto, il rimpianto per le occasioni sprecate. Lo stesso “Le nostre anime di notte”, che disegna un’amicizia fra due persone anziane, da cui il desiderio fisico è escluso, ma che non per questo sfugge alla morale censoria della gente, alla fine è tutt’altro che consolatorio. E tuttavia si termina la lettura di questi romanzi con un senso di pienezza, e nonostante tutto di fiducia. Nella possibilità delle persone di costruire legami, unico antidoto, forse, al gelo che avanza.

 













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