“Voci del verbo ritornare”, il laboratorio di scrittura firmato Upad

Bolzano. «Nei romanzi, nei racconti, nei film, nelle fiabe ci sono personaggi caratterizzati soprattutto dall’andare, altri che invece rivelano se stessi attraverso il ritornare. Come se nell’esperien...


Giovanni Accardo


Bolzano. «Nei romanzi, nei racconti, nei film, nelle fiabe ci sono personaggi caratterizzati soprattutto dall’andare, altri che invece rivelano se stessi attraverso il ritornare. Come se nell’esperienza del ritorno – un movimento “a ritroso” raramente fluido, la maggior parte delle volte complesso se non tortuoso – si generasse una conoscenza delle cose più autentica, uno sguardo finalmente radicale sul mondo». Così Giorgio Vasta, scrittore e sceneggiatore (è uno degli sceneggiatori de “Le sorelle Macaluso”, l’ultimo film di Emma Dante), presenta il laboratorio di scrittura Voci del verbo ritornare che partirà mercoledì 10 febbraio su iniziativa de “Le Scimmie”, la scuola di scrittura creativa della Fondazione Upad. Al laboratorio, che si svolgerà interamente online, un appuntamento alla settimana per sei settimane, ci si può iscrivere scrivendo o chiamando i seguenti contatti: info@upad.it;0471921023.

Abbiamo chiesto a Vasta di raccontarci come si svolgerà. «Attraverso le storie di un partigiano, di un giovane ufficiale asburgico, di un professore di chimica, di un muratore toscano, di un gatto nonché di un pinguino antartico – tutti personaggi che, come nella canzone di Bruno Lauzi, si sentono soli con la loro libertà – proveremo a individuare alcuni connotati di qualcosa che non è una “semplice” circostanza ma un vero e proprio stato d’animo».

Il ritorno è solo un fatto geografico?

No, è anche un’attitudine e uno stato d’animo. Qualcosa che prende forma sul volto di chi ritorna, un modo in cui si organizzano i lineamenti e lo sguardo. E allora per cominciare questo itinerario nelle narrazioni dei ritorni, osserveremo da vicino, nella letteratura e nel cinema, il primo piano di chi ritorna.

Immagine emblematica del ritorno è il personaggio di Ulisse.

Naturalmente. Dopo dieci anni passati in guerra, i dieci successivi Ulisse li trascorre nel tentativo – contrastato e contraddittorio – di ritornare a casa. Ma come sono fatti gli ulissidi contemporanei? A quale Itaca ritornano? E ad attenderli c’è qualcuno di simile a Penelope e a Telemaco? Vale ancora, per loro e per noi, un sentimento analogo alla nostalgia, a quel “dolore del ritorno” che connota profondamente l’eroe omerico? Ma il ritorno è anche un modo di stare al mondo, di prospettiva, di “stile”. Attraverso due racconti brevi di Kafka, ragioneremo sulla forma che hanno le frasi: prima in un racconto fondato sull’andare, poi in un racconto che descrive un ritorno. Delle frasi consideriamo il passo, l’andatura, le pause, gli allunghi, le insenature: lo stile.

Lei prima diceva che il ritornare è un’esperienza di conoscenza, una scoperta se stessi.

Durante il ritorno il personaggio comprende davvero chi è. Scopre, ritornando, di essere fortuito, di essere disperso, strutturalmente straniero: addirittura – e questo non solo non costituisce un male ma è una vera e propria liberazione – irrimediabilmente superfluo. Ma c’è un’esperienza con la quale prima o poi abbiamo tutti a che fare. Un’esperienza descrivibile non semplicemente come il “non ritornare”, quanto come il “continuare a non ritornare”. Il lutto, per gli esseri umani, è questo: la continua percezione di qualcuno che non ritorna. Ci sono narrazioni che servono a questo: a dilatare e a far riverberare il non ritorno.













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