Calcio: Orlandoni, da Bolzano all'Europa

Martedì il debutto in Champions e ora ad Abu Dabi per il Mondiale con l'Inter


Andrea Anselmi


BREMA. I musicanti di Brema le hanno suonate di brutto alla malconcia, imberbe e tremebonda Inter di Benitez. Ma nelle orecchie di Paolo Orlandoni rimarranno solo le note dell'inno della Champions League, nella quale il portiere bolzanino ha debuttato martedì sera.
E' stato il coronamento di una carriera straordinariamente longeva. Titolare, a 38 anni, nella massima competizione europea per club. E Paolo, primo calciatore bolzanino a giocare in Champions, ha onorato l'irripetibile occasione concessagli da mister Benitez con una prestazione di assoluto livello, nella quale - incolpevole sui tre gol incassati e decisivo nell'evitare un "manitazo" in stile umiliazione Real contro il Barcellona - non ha mostrato la ruggine di chi negli ultimi cinque anni e mezzo ha fatto la spola fra panchina e tribuna. Già, perché lui è il terzo portiere dell'Inter. Ma prima Mancini, poi Mourinho e infine Benitez non hanno mai voluto privarsi del suo apporto, considerando Paolo una garanzia in caso di necessità, nonché un fondamentale "uomo-spogliatoio", e rinviando così l'inizio della sua nuova e certa carriera, ovvero quella di preparatore dei portieri. All'Inter, ovviamente.
Ma adesso, dopo essere stato cinque volte campione d'Italia, dopo essere salito sul tetto d'Europa nella scorsa stagione e dopo aver debuttato in Champions League, Paolo proverà ad arrivare in cima al mondo. Eh sì, perché il prossimo obiettivo è il Mondiale per Club ad Abu Dabi, per il quale è stato ovviamente convocato.
Infinite emozioni nerazzurre per Orlandoni. D'altronde, Milano e l'Inter erano nel suo destino, di uomo e di calciatore. Sin dalla tenera età. Da quando - cioè - si trasferisce a Milano con un carico di belle speranze ed i tanti sogni nel cassetto di un ragazzino di 14 anni che - dopo gli inizi nella disciolta Torre e nella Virtus Don Bosco - viene tesserato dall'Inter, nel cui vivaio Paolo fa tutta la trafila delle giovanili fino alla formazione Primavera, dove inizia a respirare il profumo inebriante del grande calcio, allenandosi a stretto contatto con i portieri della prima squadra, uno su tutti Walter Zenga, che stravede per Paolo e che con lui è prodigo di consigli come un buon fratello maggiore. Dopo gli anni interisti delle giovanili, Paolo inizia la sua gavetta e si fa le ossa in serie C. Mantova, Leffe, Casarano, Pro Sesto, quindi le stagioni da "secondo" in"B" ad Ancona e Foggia, e poi ancora serie C ad Acireale, ultima tappa del suo personalissimo giro d'Italia prima della consacrazione a Reggio Calabria con la Reggina, con la quale conquista da protagonista la promozione in serie A, dove il portiere bolzanino giocherà anche con Bologna, Lazio e Piacenza. E nell'estate del 2005, a 33 anni, si chiude il cerchio col ritorno all'Inter. Un tuffo nel passato. Ed anche un ritorno alle origini, nella sua nursery calcistica, trampolino di lancio - dopo gli inizi nella natìa Bolzano - della sua carriera professionistica.
In una recente intervista, rilasciata al nostro giornale, Paolo ripercorreva le tappe della sua carriera. Ve la riproponiamo.
"Diciamo che essere qui all'Inter, cioè nella squadra dove è iniziata la mia carriera, mi dà il senso di un cerchio che si è chiuso positivamente e che mi ripaga di alcune amarezze. Il mio percorso non è stato semplice. O, perlomeno, è stato molto più duro dei giovani portieri di oggi che arrivano in alto più rapidamente e più facilmente. Ma sono cambiati i tempi".
La sua più grande gioia, oltre a quella di essere tornato all'Inter e di aver fatti incetta di successi in cinque anni?
"La promozione in serie A, da titolare, con la Reggina".
Reggina che, però, le ha riservato anche una grande amarezza.
"Dipende dai punti di vista. Intanto 13 presenze da titolare in serie A le ho fatte. Ed ero al debutto. La squadra, oltretutto, stava andando bene: eravamo in zona salvezza. Ma alla fine la dirigenza si è piegata (o si è voluta piegare) alle richieste della "piazza" di un portiere più esperto del sottoscritto. E così ho dovuto andarmene, a gennaio. Però non sono finito male, visto che sono andato a fare il "secondo" ad un grandissimo come Pagliuca, riuscendo a racimolare altre quattro presenze in serie A. Dopo il prestito al Bologna, sono tornato - come da contratto - a Reggio Calabria, dove però non volevo restare. Fortuna che all'ultimo giorno per la presentazione delle liste di Champions, ho firmato con la Lazio, neo sculettata".
Lei ha avuto la fortuna di allenarsi con grandi portieri: da Pagliuca alla coppia Peruzzi-Marchegiani, sino ad arrivare a Toldo prima e Julio Cesar poi. Chi il migliore fra questi?
"Tutti grandi portieri, ma il mio idolo, il mio modello ed il portiere più forte che abbia mai visto in azione è Angelo Peruzzi, che - oltretutto - è una persona eccezionale".
Torniamo alle sue origini, partendo da Bolzano: dalla "mitica" Torre e dalla Virtus DB.
"Alla Virtus giocavo in una squadra fortissima. Fra i miei compagni di squadra c'erano Guerra, Buson, Parisi... Gli allenatori erano Bovolenta e Nicolli. Bei ricordi".
Poi l'Inter, a 14 anni...
"Come preparatore dei portieri avevo Castellini. Da lui ho imparato tutto. E quando difendevo la porta della Primavera c'era Zenga a farmi da "chioccia"".
La sua carriera è trascorsa per lo più dietro le quinte, anzi dietro la porta principale. Dove trova gli stimoli un portiere di riserva?
"In se stesso e nella professionalità che il ruolo richiede. Perché devi essere "allenante" per chi ti sta davanti e pronto in caso di evenienza. E poi quando fai parte di una "rosa" di campioni come quella dell'Inter e giochi per provare a vincere tutto, le motivazioni nascono spontanee, perché sai di far parte di uno dei club più importanti del mondo e il fatto di non giocare ti pesa molto meno, soprattutto alla mia età"













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