Caccia al profugo sui treni dell'apartheid

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Caccia al profugo di carrozza in carrozza. Inseguimenti tra i passeggeri, spintoni, urla. “Rosari” di parolacce da parte degli agenti prima di scaraventare uomini e donne indifesi giù dal treno. Poliziotti costretti a fare i “rottweiler”, ed esseri umani braccati come animali per il colore (nero) della pelle.



È successo ieri mattina sull’Eurocity 88 per Monaco che parte dalla stazione di Bolzano alle 10.34. A denunciarlo all’Alto Adige sono alcuni viaggiatori che erano a bordo. «Una scena indegna di un paese civile - racconta al telefono un signore siciliano che da anni vive in Baviera -, i poliziotti inseguivano quei disgraziati manco fossero criminali. Li rincorrevano di scompartimento in scompartimento e lungo i corridoi. Mi sono vergognato di essere italiano». La situazione sui “treni dell’apartheid” diretti al Brennero, dove se sei nero non puoi viaggiare, peggiora di ora in ora, e dio solo sa cosa accadrà dal 26 maggio con la decisione unilaterale della Germania di sospendere Schengen. I profughi erano arrivati a Bolzano alle 8.30 da Roma con l’Intercity della notte. Una cinquantina in tutto. Uomini, donne, giovani, anziani, bambini. Eritrei, nigeriani, nordafricani. Il solito copione che si ripete da mesi tutti i giorni. Tenuti sotto controllo dalla polizia ferroviaria, hanno aspettato - biglietto regolare in mano - la partenza del primo Eurocity per Monaco, quello, appunto, delle 10.34. Durante l’attesa, gli uomini della Polfer di Bolzano (aiutati dai mediatori culturali delle associazione umanitarie che traducevano), hanno spiegato ai profughi che salire era inutile. Che a bordo ci sono le pattuglie trilaterali. Che li avrebbero fatti scendere tra Bolzano e Innsbruck. È stato detto loro che la Germania non li vuole. Che L’Austria non li vuole. Che sarebbero stati inevitabilmente cacciati indietro. Parole al vento. I migranti in transito vogliano andare a nord. E niente li ferma dopo un viaggio costato soldi, mesi e molte vite umane. Quando il treno per Monaco è arrivato al binario, si sono accalcati davanti alle porte sventolando i biglietti. Come dire: abbiamo pagato, è un nostro diritto. Gli agenti della Polfer non sono intervenuti, lasciandoli salire. «Ma una volta a bordo - racconta il testimone -, le pattuglie trilaterali si sono scatenate. È successo il finimondo. Una “caccia al nero” che mai mi sarei immaginato. Ma provate per un istante a mettervi nei panni di un profugo...». Non capisci la lingua, ti urlano addosso, ti inseguono come una lepre, ti spingono, ti fanno scendere a forza. «Un paio di agenti italiani erano molto decisi. Troppo». Poliziotti sotto stress da mesi, lasciati soli a gestire un’emergenza umanitaria planetaria. Sotto organico, senza direttive chiare. Paga da 1.500 euro al mese, e il contratto bloccato da 5 anni. E con quella presenza asfissiante degli agenti tedeschi, che va ben al di là del ruolo di semplici “osservatori”.
Il tono “eccessivamente muscolare” di ieri è un ennesimo segnale d’allarme. Dice Mario Deriu del sindacato di polizia Siulp: «Quello che è successo, è la conseguenza di un personale di polizia che si trova a tamponare una situazione d’emergenza senza un indirizzo operativo chiaro e trasparente da parte del Ministero degli interni e del Dipartimento di pubblica sicurezza. È solo grazie al grande senso di responsabilità da parte dei nostri poliziotti, che fino ad oggi la situazione non è degenerata » . Deriu lo ripete da mesi: «La presenza tedesca sui nostri treni è benzina sul fuoco. La loro pressione è la causa principale di azioni di “allontanamento muscolare”, che mettono in grande imbarazzo morale, umano e professionale gli agenti italiani».













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