Il cuore dilaniato di chi resta



Cerco nella memoria una poesia di Sant’Agostino («La morte non è niente») e una frase di Isabel Allende: «La morte non esiste. La gente muore solo quando viene dimenticata. Se saprai ricordarmi, sarò sempre con te». Ma è una frase, quella strappata ad una pagina di Eva Luna, che una madre che sta per andarsene dice a un bimba. Non viceversa. Perché non è concepibile che un bimbo o una bimba muoiano. Non c’è nemmeno una parola per definire i genitori che restano senza un figlio, nei nostri vocabolari. In questa nostra lingua così ricca e così carica di sfumature, è previsto che si resti orfani di un genitore, ma non di un figlio. Perché non sappiamo accettarla, immaginarla o descriverla, la morte di un bimbo: la allontaniamo, riponendola nel nascondiglio delle cose assurde, incredibili. Persino indicibili. Ma la cronaca è piena di bimbi che muoiono in mare, riempiendo di lacrime gli occhi di quel pezzo di mondo che sa ancora commuoversi. La cronaca è piena di bimbi che muoiono di fame, di guerra, di violenza cieca. Ma non ci abitueremo mai al sangue di un bambino schiacciato da un trattore guidato dal nonno: troppo grande il dolore, troppo assurda la storia, troppo pesante il fardello sul cuore dilaniato di chi resta.













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