L'accordo Degasperi-Gruber 70 anni dopo



Come ti immagini la Provincia autonoma nel 2030? Se la domanda è posta così, come me l’ha lanciata l’ottimo collega Paolo Ferrari per preparare un numero speciale della rivista della Provincia dedicato ai 70 anni della firma dell’accordo Degasperi-Gruber (rivista uscita in questi giorni) la risposta è facile: mi auguro, nel 2030, di trovare questo Alto Adige. Questa Provincia e questa provincia. La P maiuscola per definire l’assetto istituzionale; la p minuscola per disegnare questo territorio.
E mi aspetto, permettetemi la battuta, anche di trovare questo Alto Adige, inteso come giornale: visto che il quotidiano che dirigo e che voi ogni giorno leggete porta con orgoglio il nome del luogo che ogni giorno, da poco più di 71 anni, racconta.
Ed è legandomi proprio al giornale, che è nato poco prima della firma dell’accordo Degasperi-Gruber, figlio di una ricostruzione che è fatta dei tanti fili che hanno edificato, insieme e in settori molto diversi fra loro, la trama di questa terra d’autonomia, che cerco di motivare la mia risposta d’istinto. Perché il “mio” giornale ha cercato, soprattutto nell’ultimo periodo, di interrogarsi sul presente - che è anche, per definizione, futuro in continuo divenire - della nostra Autonomia. Sono partito da una provocazione: mi sono chiesto se Degasperi, in quel giorno lontano, pensasse a qualcosa di definitivo, di indissolubile, o a qualcosa di temporaneo, una sorta di ponte che permettesse al Trentino Alto Adige di andare da un “prima”, fatto di povertà, di emigrazione, di emarginazione (perché vivere sul confine è opportunità, ma anche continuo rischio) ad un “dopo”, fatto prima di tutto di benessere. E poi di stabilità. E poi ancora di un autogoverno che era già nella storia, con radici più antiche di qualsiasi accordo. La risposta è arrivata da oltre 160 interventi che abbiamo pubblicato nei mesi scorsi: interventi in qualche modo rimasti aperti. Perché non c’è una risposta definitiva a questa domanda. Perché la storia va avanti. Perché non è cambiato solo questo territorio. È cambiata l’Europa. È cambiato il Mondo.
Degasperi pensò da subito ad un quadro regionale: non per dare una carezza ai suoi amati trentini, come qualcuno preferisce pensare, ma perché guardava lontano e sapeva che piccolo non è sempre bello. In particolare quando è troppo piccolo. Non è unicamente una questione di percentuali, di equilibri di maggioranze e di minoranze che cambiano a seconda di come le si guardi (una cosa è l’Alto Adige e una cosa è il Trentino, ma una cosa profondamente diversa è la Regione, che è la vera figlia, ben presto bistrattata, di quell’accordo). È una questione - ancora irrisolta, lo dico anche alla luce dei tanti editoriali che ho ospitato sul giornale - di peso: peso politico, peso complessivo, peso economico, peso culturale, peso intellettuale. L’elenco potrebbe essere lungo. E qui, nella capacità di declinare parole e alleanze nuove, sta la possibilità di affrontare (o di non affrontare, in quanto il rischio c’è) i continui cambiamenti che rischiano di travolgerci. Sì, di travolgerci: perché non è un caso che io abbia intitolato «Autonomia provvisoria» il lungo dibattito del quale sto parlando. Nel 2016 è infatti importante chiedersi cosa si aspettasse Degasperi mentre costruiva con Gruber un accordo che ci ha portato sino a qui. Ma è molto più importante chiedersi come possa riempirsi di contenuti, a 70 anni di distanza, una “carta” come quella: una “carta” della quale siamo ancora figli, al di là del secondo Statuto del 1972 e al di là della continua crescita di deleghe (Date? Concesse? Persino, in alcuni casi, rifilate? Il dibattito è aperto) che sono passate negli ultimi anni dallo Stato alla Provincia di Bolzano e a quella di Trento. E qui torna il tema del peso. Perché solo insieme o in un ambito ancora più ampio come quello dell’Euregio, le due Province, possono avere, a mio modesto avviso, il peso politico e istituzionale per dare risposte sempre diverse alle domande che non riguardano più solo noi, ma un universo che è davvero molto cambiato. Pensate al termine “minoranza”: quante etnie ci sono, oggi, in questa terra? Quante forme di tutela? Quante forme di solidarietà? Quante reali visioni su una convivenza (e su una accoglienza) che richiedono nuovi paradigmi, nuovi occhi, verosimilmente anche nuove leggi e nuovi assetti? A un giornalista spettano le domande. Alla politica le risposte. Poi c’è la speranza - di continuare a vivere in un Alto Adige come quello di oggi -, ma la speranza può essere solo un frammento del motore che ci porterà di qui al 2030.













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