Mattarella, Van der Bellen e l'autonomia del futuro



Il ricordo è, insieme, nostalgia e ragione. Ma se la memoria non è mero esercizio di stile, ma rispettosa e utile ricostruzione delle radici del presente, allora non solo prevale la ragione, ma tutto ha un senso diverso. E domenica 11 giugno l’autonomia ha risposto nel migliore dei modi a chi s’ostina a confondere la faticosa conquista della pace e della convivenza con un privilegio.
Il dolore e le diffidenze di ieri sono oggi (la definizione è di Mattarella) un’amicizia solidissima: fra Italia e Austria, ma anche, fra l’Alto Adige e le due potenze tutrici. Sì, due. L’Alto Adige di oggi non è infatti protetto solo dall’Austria, ma anche da un’Italia che, ricordando i 25 anni della quietanza liberatoria, non ha chiuso un capitolo, ma ne ha aperti molti altri. Perché un territorio come il nostro, che è da tempo un’Europa nell’Europa (immagine cara al presidente austriaco Van der Bellen), è anche - parola di Mattarella - un autentico modello di civiltà, un’avanguardia europea di integrazione e di convivenza. E di sviluppo, vien da dire dopo aver rivisto ciò che eravamo e ciò che siamo invece diventati. I ponti che si sono faticosamente costruiti hanno i nomi e i volti delle persone lungimiranti che si sono battute per portarci fin qui. E sono oggi patrimonio collettivo. Come ha ben capito chi ieri ha a lungo applaudito Mattarella ancor prima che prendesse la parola. Alla faccia dei fischi di chi ancora legge la storia con lenti vecchie e scalfite dal rancore.
Del resto, ha avuto mille significati l’arrivo del presidente Mattarella in questa terra. Anche perché il presidente della Repubblica è arrivato a Merano in giornate che ricordano un bivio. Per lo scontro di qualche giorno fa in Parlamento. Per ciò che sta succedendo in un territorio che rischia di perdere la sua vocazione regionale (Consulta e Convenzione stanno allargando, sulla strada del terzo Statuto, le distanze che avrebbero dovuto accorciare). E per ciò che sta accadendo in un Alto Adige in cui troppi steccati - reali e immaginari - impediscono di poter considerare per sempre sopiti conflitti che passano da un bilinguismo che rallenta a differenze che, anziché produrre una convivenza matura, sembrano riproporre divisioni che pensavamo ormai fuori dalla storia. Di qui il bivio: da una parte c’è un’idea nuova di autonomia, forte certo di ancoraggi internazionali, di una storia prima tragica e poi generosa, ma capace di guardare avanti senza timore, disegnando percorsi originali, anche sul piano istituzionale: il terzo statuto, un nuovo ruolo, fatto non solo di competenze acquisite dallo Stato, ma anche di competenza da mettere al servizio del Paese.
Dall’altra c’è la paura, che genera cortocircuiti come quello andato in scena a Montecitorio. L’autonomia va difesa in ogni luogo. Ma talvolta - ed è palesemente questo che pensa chi ha appoggiato, a destra, a sinistra e fra i grillini, l’emendamento, indubbiamente sibillino, dell’onorevole Biancofiore - l’autonomia deve capire che specialità non significa sempre diversità.
Fuor di retorica: le forzature hanno spesso aiutato. Ma in un’altra Italia, in un altro contesto. Per questo a Merano, al presidente Mattarella e al suo omologo austriaco Van der Bellen, era necessario presentare un’autonomia che non ha paura di essere “provvisoria” (e il professor Scaglia ha descritto sul nostro giornale alla perfezione il lungo dibattito da noi avviato per sollecitare chi di dovere a rendere l’autonomia più forte, più dinamica, più moderna e soprattutto più attuale e più simpatica), ma che viceversa si propone al Paese come nuovo esempio di integrazione, con un ruolo nuovo di cerniera fra Italia e Austria. Il presidente altoatesino Kompatscher, questo, l’ha capito molto bene. E s’è mosso abilmente anche a Roma (con l’aiuto di un governo amico ancor prima che con quello della Svp). Perché questo - per dirla con il senatore Palermo - è il tempo di dare un profilo internazionale alla nostra autonomia. Ecco perché l’arrivo di Mattarella ha avuto mille significati. Ed ecco perché il Trentino non può permettersi di perdere questo treno.













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