Allearsi senza un programma

di Francesco Palermo


Francesco Palermo


Il 2011 si apre con un panorama politico molto cambiato rispetto a soli pochi mesi fa, e si preannuncia come un anno foriero di possibili novità. Nel contempo il dibattito sembra concentrarsi su aspetti di dettaglio, trascurando quelli essenziali. Soprattutto, si parla tanto di alleanze, ma non si dice cosa dovrebbero fare.
Tutto è limitato alla congiuntura, e a nessuno pare interessare la visione di lungo termine, che invece è indispensabile per traghettare l’autonomia in questa fase difficile.
Politicamente la SVP sembra più forte oggi di quanto lo fosse dopo le ultime elezioni provinciali. E’ pur vero che nel 2008 è riuscita, per il rotto della cuffia, a mantenere la maggioranza dei consiglieri, ma aveva palesato allora una preoccupante crisi di rappresentatività soprattutto in periferia. Oggi il suo peso sembra accresciuto grazie al suo essere il vero “partito del fare”, come ha dimostrato la vicenda dello sblocco delle norme di attuazione e dei finanziamenti arretrati collegati all’astensione sulla fiducia al governo. Questo ha rafforzato, nel breve periodo, la sua posizione, sia nei confronti della destra tedesca, i cui elettori vedono che è capace di realizzare cose concrete per l’autonomia, sia nei confronti degli italiani, che la guardano con crescente ammirazione. Ma questo rischia di diventare una trappola nel lungo termine, se non si faranno scelte decise. Diventando sempre di più il partito degli italiani, che la ammirano, la votano e se potessero vi si iscriverebbero in massa, la SVP rischia di perdere ancora qualcosa a destra. La rincorsa all’alleanza con la SVP da parte ora dell’intero panorama politico italiano porterà alla SVP molti voti italiani. Resta da vedere se saranno più di quelli tedeschi che perderà per questo stesso motivo.
Insomma, la SVP è condannata al successo ma rischia di restarne vittima. Stare fuori dai blocchi è un’ottima tattica, ma sembra mancare una visione strategica di cosa il partito voglia diventare e di come voglia interpretare il suo ruolo di partito, di fatto, sempre più territoriale e sempre meno etnico. Un’evoluzione che sta avvenendo nei fatti ma in assenza di un progetto, e che rischia per questo di nuocere al partito di raccolta nonostante il gran potenziale che offre.
Ancora più confuse sono le idee dei partiti italiani. Il minimo comun denominatore sembra essere la rincorsa all’alleanza con la SVP, anche da parte di chi fino a ieri si presentava come acriticamente ostile. L’opportunismo da parte dei protagonisti di queste vicende è evidente. Oggi tutti si propongono come partner della SVP “a prescindere”. Nessun programma (a parte i buoni uffici verso il governo di Roma, ma è un programma questo?), solo un “prendete noi”. Non è soltanto un problema del centrodestra e delle sue varie anime. E’ la stessa strategia che ha finora seguito anche il PD, solo con più costanza: prendete noi perché siamo “più autonomisti”, ma non in base a un reale programma.
Sarebbe però sbagliato pensare che questo atteggiamento sia solo frutto di opportunismo e di assenza di programmi. I programmi sono capaci di metterli insieme perfino i derelitti partiti attuali: il vero problema è l’impossibilità di presentarsi alla SVP con un programma. Perché inevitabilmente la SVP sceglie chi chiede di meno, come un’asta al ribasso. Questo è il paradosso: per governare occorre chiedere alla SVP il meno possibile, ma così facendo si rinuncia all’azione politica in nome della cooptazione. Così i partiti italiani fanno male in primo luogo a se stessi e alla propria dignità, ma anche alla SVP che non può contare su interlocutori seri e tratta tutti dall’alto in basso, e in definitiva all’intera autonomia che non gode di un reale pluralismo politico.
Oltre all’opportunismo e alla voglia di governare “a prescindere”, c’è però anche dell’altro, e si tratta di cambiamenti molto più profondi. C’è, in modo più o meno consapevole, la percezione che gli elettori italiani sono ormai nella quasi totalità pro-autonomisti e persino pro-SVP (no, i due concetti non sono sinonimi), vedono lo sfascio della politica italiana e purtroppo anche dell’Italia nel suo complesso, e paradossalmente persino coloro che a livello nazionale continuano a sostenere il governo e la sua retorica del fare, a livello locale ammirano sempre più un partito che rappresenta il fare davvero. Che sa ancora governare, amministrare bene, mantenere a galla la barca. Quello che a Roma non succede più.
Insomma, con tutto il rispetto per le alleanze, le giunte, le nomine, la scelta del Presidenza di lingua italiana del Consiglio provinciale, occorrerebbe guardare alla radice dei problemi. Forse è giunto il momento di ripensare la rappresentanza politica italiana, la sua funzione, i suoi obiettivi. E lo devono fare non solo i partiti italiani, ma anche la SVP. Non in chiave etnica (il partito degli italiani sarebbe una sciocchezza oggi più che in passato), ma con un ragionamento più articolato sulle necessità, sul ruolo e sul possibile dei cittadini di lingua italiana di questa Provincia. Altrimenti la rappresentanza finirà altrove. E i partiti saranno sempre più veicoli monoposto per offrisi al miglior offerente. Anzi, all’offerente unico, che fa il prezzo a suo piacimento.

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