Caramaschi scrittore Dopo le guide si scopre romanziere

Il libro edito da Mursia è ambientato in Valle Aurina «Ho amato la montagna dopo una burrascosa riunione»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Sa com’è nata l’idea? Leggendo un libro di Nabokov, uno scrittore russo che mi piace molto. C’erano due pagine, dicasi due, dedicate ad una finestra. In quella descrizione c’era tutta la sua maestria. Qualche giorno dopo, in un maso della Valle Aurina, mi sono ritrovato a osservare una vecchia serratura. Anch’io ho provato a raccontarla: è da lì che parte il mio romanzo». Renzo Caramaschi, 67 anni, alle spalle una carriera fatta interamente all’interno del Comune di Bolzano, arrivando a ricoprire il ruolo di direttore generale, appassionato di musica e teatro, ha appena dato alle stampe «Il segno del ritorno», edito da Mursia. È il suo primo romanzo che arriva dopo la pubblicazione di libri dedicati alle escursioni sulle montagne altoatesine.

Questo libro dov’è ambientato?

«In valle Aurina e più precisamente nella valle di Keil, una zona di cui sono innamorato. Il protagonista è Herbert, un contadino che vive nella prima metà del ’500 ed è animato da una forte volontà di riscatto. «Il segno del ritorno» incarna il sogno di una piccola umanità calpestata che sogna di tornare lì dove tutto è iniziato».

Come mai la scelta di collocare il romanzo in questo particolare periodo storico?

«Mi interessano la storia locale dal 1400 fino all’italianizzazione dell’Alto Adige, la rivoluzione francese e la storia economica medievale».

Dalle guide al romanzo, ma la montagna ancora una volta resta protagonista. Da dove nasce tanta passione?

«È una passione nata una ventina di anni fa, per caso».

Cosa significa per caso?

«Nonostante abbia frequentato il corso allievi ufficiali della Scuola militare alpina di Aosta, la montagna la odiavo. Il colpo di fulmine il 15 agosto del 1994 al termine di una riunione in Comune».

A Ferragosto?

«Sì, allora vicesindaco era Herbert Mayr. Si doveva parlare di finanziamento delle opere pubbliche e mi chiese se ero disponibile per il giorno di Ferragosto. E io dissì di sì. Il bello è l’orario in cui avevamo fissato l’incontro: lui propose le 6 di mattina. E, per non essere da meno, rilanciai per le 5. Discutemmo fin dopo mezzogiorno. Una discussione burrascosa, al termine della quale ho preso la macchina, sono salito fino a Cengles e dà lì verso la Croda omonima. Quel giorno è nato il mio amore per la montagna».

Sono vent’anni che lei passa i fine settimana in quota: da solo o in compagnia?

«Quasi sempre solo. Per 13 anni e mezzo mi ha accompagnato Vickie, splendido esemplare di Samoiedo».

In montagna però può essere pericoloso andare da soli.

«Sì. Ma vuol mettere la libertà che si ha? Vale la pena correre qualche rischio».













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