IL CASO

Donna segregata nel cassone, ancora molte ombre

Parla Reinhold Thurner: «Ero esasperato, volevo darle una lezione»



BOLZANO. Nel dramma della donna segregata per 2 settimane dall’ex convivente ed attuale datore di lavoro nelle campagne veronesi nei pressi di Sommacampagna, manca ancora una precisa ricostruzione dei fatti.

Reinhold Thurner, l’imprenditore agricolo altoatesino in carcere con l’accusa di sequestro di persona e tortura, in occasione dell’udienza di convalida davanti al giudice Livia Magri ha consegnato una ricostruzione scritta di quanto sarebbe avvenuto. E’ una sorta di memoriale, scritto in lingua tedesca per evitare di essere frainteso.

La versione dell’uomo non coincide con quanto sino ad oggi emerso sia livello fattuale sia sulla sulla base di quanto la vittima - seppur visibilmente sotto choc - ha raccontato al momento della liberazione da parte delle forze dell’ordine. In sostanza Reinhold Thurner non nega di aver sequestrato la sua ex compagna dopo l’ennesimo litigio e sostiene di averlo fatto perché portato all’esasperazione dalla stessa vittima il cui comportamento avrebbe minato la solidità anche della stessa azienda agricola di sua proprietà. «Sono stato io a metterla là dentro - ha detto agli agenti di polizia e ai carabinieri - quella donna mi ha rovinato l’azienda, volevo darle una lezione».

Ma l’imprenditore agricolo altoatesino ha negato che l’ex convivente sia rimasta imprigionata nel cassone per due settimane, abbandonata in mezzo alla campagna sotto il sole di ferragosto, con una mela come pasto quotidiano ed una bottiglietta d’acqua. «Non è nella mia indole maltrattare le persone e nemmeno gli animali -ha scritto al giudice - ma a quella donna volevo dare una lezione».

Reinhold Thurner sostiene di aver imprigionato la donna nel cassone agricolo per una sola notte. Una versione che sembra stridere con alcuni dati oggettivi in mano agli inquirenti: quando è stata trovata e liberata dalle forze dell’ordine, la donna era visibilmente provata, terrorizzata ed in stato di choc. Nella cassa vi sarebbero state anche le prove del prolungato sequestro posto che la malcapitata polacca sarebbe stata costretta per due settimane a convivere con i propri bisogni fisiologici. Una condizione che sembra poco compatibile con la tesi del sequestro durato poche ore, cioè l’arco di una notte.

C’è poi l’allarme lanciato alla vigilia di ferragosto dai figli della donna che da Varsavia avevano denunciato la scomparsa della madre della quale avevano perso ogni contatto in quanto non rispondeva più al telefono.

Il quadro complessivo è però contraddittorio in quanto risulta al momento incomprensibile il comportamento della sorella della vittima, bracciante agricola nella stessa azienda dell’altoatesino, e che non avrebbe denunciato la scomparsa della vittima. Non si capisce come possa essere rimasta in silenzio o come abbia deciso di non interessarsi del destino della sorella che aveva preso le sue difese in quanto sottopagata per i lavori nei campi. 













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