L'intervista

Ilenia Fronza, la scienziata del software

La ricercatrice è arrivata all'università di Bolzano per fare il dottorato. Poi ha deciso di restare: «Insegno alla facoltà di Scienze e tecnologie informatiche, ingegneria del software e collaboro con le aziende»


Antonella Mattioli


BOLZANO. «Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma molti stereotipi stanno cadendo. Sono sempre di più le ragazze che scelgono facoltà ad indirizzo scientifico». Ilenia Fronza, 40 anni, trentina d’origine, arrivata a Bolzano per fare il dottorato, ha deciso di rimanere. Oggi, come ricercatrice della Facoltà di Scienze e Tecnologie informatiche di UniBz, dedica parte della sua attività a trasmettere a giovani e giovanissimi - femmine o maschi non importa - la passione per l’informatica. Ma i suoi corsi sono pensati anche per chi è più in là con gli anni e “vorrebbe programmare ma non sa da dove iniziare”.

Esattamente di cosa si occupa?

In particolare dello sviluppo di tecniche e strumenti per l’insegnamento dell’ingegneria del software.

In ambito prettamente universitario?

Non solo. Anche perché ci piaccia o no l’informatica è entrata prepotentemente nella vita di tutti noi. Per cui - ad esempio - durante il lockdown, mi sono divertita e ho ottenuto grandi soddisfazioni da un corso di programmazione lanciato online e pensato per la fascia dei giovanissimi. Siamo partiti in cinque-sei; alla fine - grazie al tam tam - abbiamo superato i cento partecipanti.

In cosa consisteva il corso?

Durava circa un’ora e mezzo e per loro avevo pensato a qualcosa di semplice ma che fosse comunque stimolante: dovevano programmare dei personaggi in un’animazione. I ragazzini si sono appassionati tantissimo. Lo stesso entusiasmo che ogni settembre vedo tra i partecipanti al coding camp MobileDev.

Di cosa si tratta?

È una settimana estiva di lezioni e attività in laboratorio sugli argomenti più attuali dello sviluppo software per dispositivi mobili pensata per gli studenti delle scuole superiori.

La divulgazione delle conoscenze è una delle mission del suo lavoro.

Tecnicamente viene definita terza missione, ma non perché sia meno importante di ricerca e didattica. Anzi. La terza missione “chiude il cerchio” e dà un senso completo al nostro lavoro.

Le capita di lavorare anche con le aziende?

Sì, mi occupo di sviluppo di soluzioni per le aziende, ma anche per scuole e insegnanti, visto il mio ambito di ricerca. Cambiano semplicemente interlocutori ed esigenze. Io cerco il modo migliore, e soprattutto più semplice, per comunicare. È una sfida quotidiana: trasmettere, rendere utile quello che noi facciamo a livello di ricerca.

All’università lei insegna al master.

Tengo un corso di metodi di ricerca e trasferimento tecnologico al Corso di laurea magistrale in Ingegneria del Software per i Sistemi Informativi con circa 15 studenti, poco meno della metà sono ragazze.

Il suo è un lavoro molto vario.

È per questo che sono innamorata di quello che faccio: ogni giorno c’è una sfida diversa. Non potrei mai stare chiusa in un ufficio a fare qualcosa di ripetitivo.

Anche all’università la vita sta lentamente tornando alla normalità.

Fortunatamente, si sta tornando alle attività sempre più in presenza.

Anche lei che “vive” di informatica, apprezza più la vita reale di quella virtuale.

Non c’è dubbio. È un’altra cosa far lezione in un’aula “vera”. Anche se ormai da due anni siamo tutti abituati ad indossare la mascherina, quando guardi negli occhi qualcuno, ti rendi conto immediatamente se quello che hai appena spiegato è stato compreso oppure no. Difficile capirlo se uno è collegato online. Difficile valutare anche il livello di attenzione. Più complicato per loro seguire; e per noi fare lezione davanti ad un monitor.

Una laurea in informatica offre sbocchi lavorativi interessanti?

Direi proprio di sì. Da noi chi fa la triennale, non fa in tempo a completare il ciclo di studi che ha già il posto di lavoro.

Ma è vero che gli informatici “invecchiano” presto, perché superati da giovani generazioni sempre più smart?

Perché un chirurgo non invecchia? Le tecniche anche in sala operatoria non sono state rivoluzionate nel corso degli anni? La verità è che oggi tutto cambia alla velocità della luce. Non solo in campo informatico, ma in ogni settore. Per questo si parla di apprendimento permanente.

Ha qualche ricetta per non finire fuori mercato?

C’è un unico modo: studiare, aggiornarsi continuamente. Vietato fermarsi, altrimenti si resta inevitabilmente indietro.

Ricercatrice è sinonimo di precaria: ha un contratto a tempo determinato di tre anni. Ne vale la pena?

Stabilito che anche avere il posto fisso non ti mette al riparo dai rischi, ovviamente un contratto di tre anni non ti consente di fare programmazioni a medio e lungo termine.

Ciononostante?

Mettendo sulla bilancia pro e contro, il piatto pende più a favore dei pro. Questo è il lavoro che ho scelto e che voglio fare.

Una curiosità: quando è nata la passione per l’informatica?

Ho fatto il liceo scientifico Marie Curie a Pergine e lì ho avuto un’insegnante di matematica molto brava e appassionata, la professoressa Angela Aldrighetti. È anche grazie a lei se mi sono innamorata della materia. L’informatica è arrivata dopo.













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