«Più alto del mare», per la Melandri un romanzo intimo

Dopo «Eva dorme» ancora il tema del terrorismo La scrittrice: ho lavorato sul piano emotivo


di Daniela Mimmi


di Daniela Mimmi

Più in alto del mare c’è il cielo, quello della celebre frase di Kant: “Due cose riempiono l’animo di meraviglia e venerazione: il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. In realtà, come scrive Francesca Melandri, “non c’è muro più alto del mare”. La frase è nelle prime pagine di “Più alto del mare”, il nuovo romanzo che la scrittrice romana presenterà questa sera alle 21 al Kurhaus nell’ambito della rassegna Appuntamento a Merano. Modera l’incontro, ad ingresso libero, il giornalista Toni Visentini.

“Più alto del mare”, secondo romanzo dopo il grande successo del primo, “Eva dorme”, è un romanzo profondo, intimo, legato all’aspra bellezza dell’isola dell’Asinara. La Melandri questa volta è un po’ come i poeti romantici, legati al fascino sottile e discreto eppure devastante, della natura. “Sono stata alcuni anni fa all’Asinara e sono stata colpita dal fascino selvaggio dell’isola e quello strano del carcere”.

Dalla montagna di “Eva dorme”, ambientato in Alto Adige, al Mar Mediterraneo. Com’è avvenuto il passaggio?

«Ho bisogno di ambientazioni forti, di paesaggi che non siano solo una cartolina da usare come sfondo per la scrittura e la storia. Ed entrambi, sia l’Alto Adige che l’Asinara, possiedono paesaggi molto potenti. La natura è molto importante, ma non deve essere necessariamente un bosco. Certo, le Dolomiti sono stupende, come può esserlo una barca in mezzo al mare. È il paesaggio in generale che mi colpisce, ma può anche essere quello di Roma durante una passeggiata, cosa che faccio spesso: la luce, gli odori, le ombre».

Il figlio di Paolo, uno dei personaggi del romanzo, è un terrorista incarcerato. In “Eva dorme” lei dedica molte pagine al terrorismo sudtirolese. Come mai questo interesse per il terrorismo?

«Dopo tanti anni di pace l’Italia ha vissuto gli anni tragici del terrorimo. Oggi la nostra psiche è plasmata da quegli anni, è una trama collettiva nella quale tutti noi siamo vissuti e che ci ha in qualche modo cambiati, tutti noi ne portiamo ancora i segni. Io ho fatto un grande lavoro proprio sull’aspetto emotivo e psichico e secondo me i romanzieri, anche se inventano le trame, devono occuparsi di queste vicende così drammatiche, come una specie di psicoterapeuti. Raccontare storie implica anche una rielaborazione, un lavoro su di sé».

Eva nel precedente romanzo attraversava tutta l’Italia per raggiungere Vito. Anche questa volta due solitudini si incontrano.

«Io direi tre, perchè oltre a Paolo e Luisa, i due personaggi principali, c’è anche Pierfrancesco, l’agente di custodia. Entrambi hanno dentro esperienze non comunicabili in quel luogo, invece proprio quel luogo darà loro la possibilità di comunicare».

Quindi cosa c’è sopra al mare?

«Potrebbe esserci il cielo, se intendiamo il mare come apertura, con la sua vastità piatta. In realtà il titolo l’ho preso da una frase che indica il mare come un muro che crea incomunicabilità, silenzio, solitudine, quindi è una chiusura. Solo alla fine, sopra al mare, ci sarà veramente il cielo...».













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