STRAGE VENOSTA UN ANNO DOPOI familiari delle vittime: «Ricorrenza che amplifica il nostro grande dolore»


Bruno Pileggi e Leonardo Pellissetti


SILANDRO. Difficile parlare di un proprio caro scomparso in una assurda tragedia come quella del treno della Venosta. Troppi dolorosi ricordi, che torneranno prepotentemente alla mente questa mattina alle 9, primo anniversario del drammatico incidente ferroviario, quando le sirene dei paesi venostani suoneranno a distesa. Mamma Veronika e papá Heinrich Ofner portano ancora i segni della sofferenza: «È duro parlarne, la vita per noi si è fermata quel maledetto lunedì di un anno fa. Appreso dell'incidente avevamo sperato che nostra Rosina non fosse salita su quel treno, ma la realtá si è rivelata dura. È stato un dolore atroce per tutti noi, sopravviviamo trovandoci spesso con gli altri parenti delle vittime: un modo per riuscire a farcene una ragione e ad andare avanti».
Stenta a parlare anche Mainrad Peer: «Voglio solo ricordare la mia piccola Elisabeth gioiosa e solare come era in ogni momento della giornata. Tutto il resto non interessa piú, le parole non servono piú».
Chiusi nel loro dolore, i familiari di Judith Tappeiner e Franz Hohenegger chiedono venga rispettata la loro scelta di vivere nella solitudine.
Agumes è la piccola frazione del Comune di Prato allo Stelvio ove risiede Armin Stecher, che assieme alla compagna Michaela Zöschg aveva appena iniziato a costruire il nido per l'arrivo del primo figlioletto, il piccolo Peter, nato quindici giorni prima della tragedia: «Peter ha soffiato sulla sua prima candelina pochi giorni fa, il 29 di marzo. Lui è l'unica cosa bella che mi è rimasta, mi tiene impegnato 24 ore al giorno, non riesco praticamente a concludere nulla. Mangio quando lui dorme e faccio le altre cose sempre e soltanto con lui vicino, ma va bene così. Ha giá iniziato a fare i primi passi, è bello vederlo sorridere, é un bambino sano e vivace. Da circa tre mesi viviamo in questa casa che avevo iniziato a costruire assieme alla mia Michaela. É stato duro venire ad abitare qui. Ma dovevo farlo, specialmente per il bambino. I muri, i mobili, i quadri appesi al muro, tutto parla ancora di lei, della mia Michaela. Ricordo che la nostra vicina di casa, appena saputo che presto sarebbe arrivato il primo erede, rivolta a Michaela disse: che bello, fra poco qui ci sará vita. Alcune settimane dopo, invece, arrivó la morte. Sono ancora in aspettativa e lo saró ancora per tutto il prossimo anno scolastico. Aspettativa al 30% che corrisponde a 700 euro circa al mese. Viviamo lo stesso perché a darmi aiuto e ci sono mia madre, mia sorella e due nipoti che amano starci vicini».
Persone colpite da una enorme tragedia che però non dimenticano il male che è toccato anche agli altri, e che liberano l'innato senso di solidarietà. Un sentimento nobile, molto raro di questi tempi, che rinvigorisce la speranza nelle buone qualità del genere umano. Il riferimento è alla dolorosa vicenda del conduttore del treno, Julian Hartmann, 25enne giovane padre di due bambini e con la moglie in attesa del terzo. Si è saputo che qualcuno dei sopravvissuti alla tragedia, sulla spinta di sentimenti di viva commozione e partecipazione, ha rinunciato a mille dei 2.500 euro concessi come primo risarcimento e sostegno ai passeggeri del treno della morte, per devolverli a chi ne aveva più bisogno: il riferimento a Julian Hartmann ed alla sua giovane famiglia appare evidente. L'atto generoso fa onore a chi lo ha compiuto, ancor di più quando avviene in assoluto anonimato.

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