Venerdì corto, litigano anche i sindacati

Cgil e Uil: meglio puntare solo al recupero del potere d’acquisto. La Cisl mira invece a costituire un fondo sanitario


di Massimiliano Bona


BOLZANO. Sul rinnovo del contratto dei provinciali - per i quali la giunta altoatesina ha stanziato “solo” 15 milioni di euro - ora si spaccano anche i sindacati. L’ipotesi «venerdì corto» (in cambio del «giovedì lungo», senza pausa pranzo), messa sul piatto anche dal direttore generale Hanspeter Staffler, piace al «Gs» (la sigla più rappresentativa del pubblico impiego) ma non a Uil e Cgil, più propense a fare una battaglia sul recupero del potere d’acquisto perso dal 2010 ad oggi. Senza dimenticare che i lavoratori provinciali godono, sempre e comunque, di scatti biennali di anzianità, che in molti settori del privato sono una lontana chimera. Gli stipendi, negli ultimi sei anni, non sono dunque rimasti fermi. La Cisl, al contrario, viste le modeste risorse finanziarie a disposizione, è più propensa a lavorare per la costituzione di un fondo sanitario che godrebbe di esenzioni fiscali e contributive. In ogni caso l’idea di riuscire a «strappare» sia un aumento in denaro che un’altra mezza giornata libera (il venerdì pomeriggio) sembra agli stessi sindacalisti uno schiaffo a chi lavora nel privato e non sempre gode di certi benefit (scatti di anzianità, maternità prolungata, congedi parentali ecc.). «Possibile che ogni estate - sottolinea un alto dirigente provinciale - i nostri uffici si svuotino sistematicamente?».

Toni Serafini, segretario generale della Uil, è il più chiaro e netto: «Per come è stata impostata fino adesso mi sembra una trattativa fuori dal tempo. O meglio ancora, una trattativa sbagliata. L’idea del venerdì corto, in particolare, è concettualmente sbagliata. Se anche passasse questa formula sarebbe una vittoria di Pirro. Bisogna lavorare, al contrario, sul recupero del potere d’acquisto perso dal 2010 a oggi. Le famiglie avrebbero più soldi da spendere e aumenterebbero i consumi. Quindici milioni per il rinnovo contrattuale dopo sei anni di stop sono pochi: se la giunta provinciale proprio non dovesse sentirci potrebbe essere giustificato anche scendere in piazza».

Alfred Ebner, segretario generale della Cgil, pensa anche agli effetti collaterali di una campagna per il venerdì corto. «Il pubblico impiego è già sotto tiro, spesso anche a torto, e questa battaglia non mi sembra proprio un’operazione simpatia. Sarebbe più opportuno concentrare le forze sul recupero del potere d’acquisto perso in questi anni. Bisognerebbe avere un obiettivo chiaro e preciso. Quindici milioni sono pochi ma cercare di portare a casa tutto potrebbe rivelarsi un boomerang. Se la giunta provinciale, poi, non si dovesse dimostrare collaborativa si potrebbe anche ricorrere allo sciopero».

Michele Buonerba, segretario generale della Cisl, è pragmatico. «Preso atto che sul piatto, almeno per ora, ci sono solo 15 milioni di euro e che la giunta provinciale non sembra intenzionata ad aumentare le risorse io punterei sul welfare integrativo. Un fondo sanitario per i provinciali, con esenzioni fiscali e contributive, potrebbe fungere da apripista per altre categorie. Detto questo i provinciali hanno un bel contratto, grazie anche agli scatti di anzianità, ma non sono dei privilegiati. Personalmente cercherei comunque di arrivare ad un’intesa: rompere adesso non ha alcun senso. Prendo atto che i sindacati, a riguardo, sono divisi».

Per Fabio Parrichini della Fiom-Cgil stiamo assistendo ad una sorta «di lotta fra poveri, che non giova a nessuno». Parrichini ritiene che la strada maestra debba essere «il recupero del potere d’acquisto, anche a scapito del venerdì corto. Lo sciopero? È un’arma molto importante da giocare».

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità