La “Dolce vita”: il turismo d’élite aprì la pista agli chef stellati 

A tavola/terza puntata. Al termine del secondo conflitto mondiale  il “bel mondo” in riva al Passirio esige sempre più qualità nei menù  Poi la superstar Hellrigl che sfonda negli Usa (di lui dice Fenoglio:  «Ha fatto una cucina mai vista prima») e Godio in val d’Ultimo


Jimmy Milanese


Merano. Merano iniziava a mangiare la pasta, il pomodoro e la pizza napoletana. Si, nel lungo viaggio all'interno dei cambiamenti delle abitudini alimentari dei meranesi a partire dal 1820 fino ai giorni nostri, il periodo tra le due guerre mondiali segna la seconda rivoluzione gastronomica per la nostra città. Se la prima si era compiuta grazie alla dominazione franco-bavarese in Alto Adige che aveva portato l'eleganza della cucina e dei prodotti francesi, con il passaggio di Bolzano all'Italia, a Merano arriva la “pasta col pomodoro”. Due prodotti i quali, soprattutto verso la fine del periodo bellico, tra il 1943 e il 1945, diventano un bene essenziale per la sopravvivenza. Infatti, se la pasta secca era un alimento facilmente conservabile e, soprattutto, reperibile a basso costo, anche la conserva di pomodoro si prestava come alimento indispensabile nei periodi di maggior intensità del conflitto bellico, ad esempio da quando, verso l'autunno del 1943, l'Alto Adige era diventata zona d'operazione delle Prealpi, formalmente isolata dal resto d'Italia.

Casinò e motori.

Se gli avvenimenti bellici avevano impoverito le tavole meranesi, è anche vero che il consumo di alimenti in città si era drammaticamente ridotto anche a causa della trasformazione di molti hotel in ospedali o centri di primo ricovero, come ben spiegato nel volume “aperitivo al bristol”, curato dalla accademia italiana della cucina, in particolare da silvano faggioni e raoul ragazzi, il quale della accademia è anche coordinatore regionale. in questo lavoro a quattro mani, appunto, si ripercorrono le vicende della cucina meranese, toccando anche uno degli avvenimenti più spinosi a cavallo della seconda guerra mondiale: la presenza in città di una casa da gioco. assieme a capitali stranieri, sopratutto dopo la fine del conflitto bellico, il casinò riporterà in città un certo turismo d'élite e, con questo, la voglia di mangiare bene. un risveglio del palato che coincise anche con l'esplodere delle manifestazioni automobilistiche capaci di fermare per qualche giorno il centro storico, costretto così ad offrire il meglio della gastronomia a un pubblico alquanto esigente. ed è proprio questo, ancora una volta, il leitmotiv che mette in moto le cucine meranesi, come ad esempio il fiorire di eventi al kurhaus, tra i quali il concorso di miss italia, ma anche i numerosissimi congressi scientifici. tutte manifestazioni che imponevano agli chef meranesi di alzare l'asticella della qualità. tra i primi segnali agli inizi degli anni '50, l'apertura del bar bennati al pavillon des fleurs di proprietà di quell'arnaldo bennati il quale di lì a poco, era il 10 agosto del 1954, lanciò merano direttamente nella sua seconda stagione di belle époque, inaugurando il grand hotel bristol, considerato fra i più begli hotel d'europa dell'epoca.

Ricchezza e nobilità.

A Merano operava il professor Fritz Singer e in città, al Bristol, arrivavano i proprietari della fabbrica Mercedes, i regnanti inglesi, i divi della televisione italiana come Alighiero Noschese e Fred Buscaglione, il principe e ambasciatore Esfandiary e la figlia Soraya assieme al marito Reza Pahlavi, l'ultimo scià di Persia, ma anche la famiglia Invernizzi e il meglio della imprenditoria italiana. Tutte personalità presenti ciclicamente nei cinegiornali della Settimana Incom e nelle riviste patinate dell’epoca e che pretendevano di mangiare bene, ovviamente.

Quindi, la presenza di un turismo italiano esigente impresse una forte accelerazione verso una cucina tipicamente nazionale, anche grazie alla presenza in città della scuola alberghiera, dal 1958 letteralmente nelle mani dello chef piemontese Donat Cattin - parente del politico e sindacalista- con ai fornelli un giovane Mario Cicolini, ancora oggi anima e braccio gastronomico del WineFestival di patron Helmuth Köchler. Una scuola che formerà decine di cuochi, insegnando loro l'arte della contaminazione gastronomica: da una parte pasta, risotti e arrosti italiani, dall'altra, piatti tipico-locali come carré, canederli e crauti.

Eccellenze.

Alla fine degli anni sessanta, merano era una ragnatela di ristoranti condotti da grandi chef, come ad esempio la cucina del bristol di adone zanotella: meranese che cucinava per i vip di tutto il mondo. due le eccellenze, una delle quali avrebbe fatto la storia di tutta la cucina italiana e non solo. da una parte il ristorante flora e dall'altra la cucina di andreas hellrigl. è il periodo delle stelle michelin. un riconoscimento prestigioso che letteralmente cambia la vita di un ristorante e che hellrigl consegue nel 1965 per mantenere in oltre trent'anni di attività in città. a spiegare l'importanza di hellrigl, in un'epoca dove la cucina internazionale era dominata dalla tradizione francese, è un suo degno erede, andrea fenoglio, da più di dieci anni detentore, anche lui, della stella michelin. «hellrigl ha fatto una cucina che non si era mai vista prima», spiega fenoglio. allievo dello chef alfred walterspiel, hellrigl ha portato in città «tecniche per fare cucina italiana evoluta, al punto da essere chiamato dalla regina elisabetta, ma anche ai g7 dell'epoca». hellrigl creò il suo famoso “carciofo andrea”, ma riuscì a sdoganare i canederli di midollo fino ad allora considerati pietanza della cucina povera. «senza esagerare, per la sua capacità di associare la cucina mediterranea a quella alpina, per le tecniche di cottura utilizzate, possiamo dire che hellrigl, assieme agli chef valentino marcattilii e gualtiero marchesi, ha rivoluzionato la cucina italiana». una rivoluzione che ci ha avvicinato ai francesi, ma che per hellrigl non si è certo fermata alla cucina, quando nel 1979 è stato da lui inaugurato proprio a merano il primo design hotel al mondo presso la villa mozart in via san marco. tra i suoi allievi al ristorante in via galilei, da qualche anno gestito da andrea fenoglio, anche lo chef walter oberrauch e il maître di fama mondiale pepi nortdurfter. è un periodo di grande fermento in città, con il förstlerhof ad aggiudicarsi una stella che arriva anche per il ristorante flora del pusterese oberstolz, mentre hellrigl era già sbarcato a new york nel suo ristorante “palio” che proponeva anche specialità altoatesine. insalate di pesce infarcite da prodotti del nord italia, ma anche i famosi schlurzkrapfen, i käsenocken o il classico herrengröstl sono nomi di una tradizione contadina locale che per i meranesi non hanno bisogno di traduzione e che lo chef di tubre, nominato cuoco dell'anno 1988 in usa, ha portato a livelli mai visti prima, in un mix di ingredienti locali contaminati da altri provenienti dalle più disparate parti del mondo. qualcosa di talmente comune oggi, ma altamente rivoluzionario per l'epoca.

La partenza di hollrigl per l'america lasciava una scia di professionalità in città che negli anni ha disseminato senza sosta, facendo di merano anche una meta del turismo gastronomico. come i summit dei capi di stato e di governo degli anni '80 al castello sforzesco di milano o a venezia, dove è proprio pepi notdurfter ad essere chiamato, senza dimenticare il pranzo dei presidenti di austria e itaLia qualche anno fa, sempre in via galilei, ma nel ristorante gestito da andrea fenoglio.

Lassù in Val d’Ultimo.

Un fermento che aveva contaminato anche il circondario, in particolare la cucina di Giancarlo Godio nel suo ristorante Genziana in val d'Ultimo, anche questo premiato con la Stella Michelin. Una meta gastronomica lontana da tutto e da tutti, ma che attirava il turismo d'élite su Merano, grazie alla magia che questo leggendario cuoco riusciva a creare nei suoi piatti, completamente sudtirolesi ma slegati a quegli schemi fissi che imponevano determinati abbinamenti.

Negli ultimi anni, la vocazione turistica della Merano “mordi e fuggi”, ma anche l'internazionalizzazione della offerta gastronomica, l'accesa concorrenza non solo tra ristoranti ma tra le diverse culture gastronomiche presenti in città, ha un poco tolto di identità propria alla cucina meranese. «Oggi è possibile acquistare qualsiasi prodotto da qualsiasi angolo del mondo, perché le merci viaggiano veloci e meglio di una volta», spiega Andrea Fenoglio, unica Stella rimasta in città che aggiunge: «Credo che dopo anni di sperimentazioni spinte, il futuro della cucina debba essere quello della qualità e riconoscibilità. Ad esempio, se metto nel piatto un carciofo, a vista devo capire che si tratta di un carciofo e quello stesso carciofo deve anche sapere di carciofo».

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