La storia

Cinesi pazzi per lo strudel dello chef meranese 

Dall’alberghiera Ritz all’Estremo Oriente, la storia di Andrea Susto in un ristorante della costellazione di Bombana


Jimmy Milanese


MERANO. Già studente alla scuola alberghiera Cesare Ritz di Merano, a nemmeno trentatreanni di età chef Andrea Susto conquista la sua prima stella Michelin, arrivata dopo alcuni anni di lavoro alla corte del tristellato Umberto Bombana.

Percorso singolare, quello del meranese Susto: prima una laurea in Scienze e Tecnologie alimentari a Milano, poi un passaggio per la cucina di Carlo Cracco, quindi sous-chef al ristorante “8 1/2 Otto E Mezzo Bombana” di Hong Kong e ora head-chef al ristorante “Opera Bombana” di Pechino, dove lo chef conquista la sua prima prestigiosa stella. «Ho rivisitato lo strudel altoatesino e a Pechino ne vanno pazzi», le prime parole di Susto che abbiamo intervistato proprio alla fine di un suo servizio.

Come nasce uno chef stellato: dallo studio, dalla pratica o da cosa?

Sono sempre stato un appassionato al mondo del cibo. Mia nonna era il punto di riferimento, visto che cucinava per tutta la famiglia. Quindi, l'iscrizione alla scuola alberghiera Ritz di Merano e la decisione di andare a Milano per uno stage da Carlo Cracco in Galleria a Milano, quando il noto chef aveva le due stelle. Rispetto alla scuola, lavorare nella ristorazione fu uno shock. Le ore di lavoro assumono un peso. Fu una bella sberla per me e a quel punto sentii la necessità di studiare ancora. Mi iscrissi a una laurea triennale in Scienze e Tecnologie Alimentari alla Statale di Milano.

Una laurea che le ha dato?

Maggiore apertura mentale. Venivo da un percorso pratico, ma quando affronti un corso universitario approfondisci tematiche relative al discorso alimentare. Diventi molto più consapevole su tutto quello che gira attorno al cibo. Durante il mio percorso universitario ho sempre lavorato, la passione c'era sempre e dopo la triennale sono rientrato in cucina a tempo pieno, fino al 2015, quando mi hanno proposto un’esperienza a Hong Kong. Un’apertura per un piccolo ristorante. Dovevo stare lì sei mesi, ma dopo questa parentesi con Pino Lavarra, chef due stelle Michelin in Italia, in quel ristorante al 102esimo piano di un palazzo – allora era il ristorante più alto al mondo – decisi che il mio percorso di crescita si sarebbe svolto in quel luogo.

Fino alla chiamata di Umberto Bombana, l'unico chef italiano tre stelle fuori dall'Italia.

Stando in certe cucine hai una possibilità di crescita importante. Bombana stava cercando un sous-chef sempre a Hong Kong. Sono passato nella sua cucina dove ho lavorato per diversi anni.

Dalla piccola Merano, come si vive in una città come Hong Kong?

A Hong Kong ci sono tre cose, fondamentalmente: banche, fashion e food. Tutti i grandi chef hanno un ristorante a Hong Kong dove sono rimasto per quasi sei anni. La città è molto delimitata, un sacco di ricchezza in un’area veramente circoscritta. Con Hong Kong ho stabilito un rapporto di odio e amore. Ero arrivato in una realtà asiatica ma dopo un attimo mi sembrava di essere a Londra. Vivevo in Asia ma mi sentivo ugualmente in Europa. Detto questo, ci sono un sacco di opportunità. La crescita professionale in quella città è veloce, se sei appassionato e mostri intuito per quello che stai facendo. Per quel che mi riguarda, ho sempre avuto fame per questo lavoro. Ogni anno crescevo un poco.

E il rapporto con la clientela?

Prima del Covid c'era una clientela internazionale che oggi si è ridotta. In ogni caso, a Hong Kong vivono moltissime nazionalità. Tantissime persone hanno la possibilità di spendere ogni giorno molto denaro, anche se la ricchezza è diversa da quella a cui siamo abituati a vedere in Europa. In generale, chi abita a Hong Kong in genere ha una alta capacità di spesa.

Poi, il salto a Pechino, nella capitale della Cina che viaggia a ritmi di crescita sempre impressionanti. Come ci è arrivato?

A Pechino, Bombana era proprietario di un ristorante un poco casual e sua intenzione era aggiudicarsi una stella Michelin anche nella capitale cinese. Sono arrivato all'Opera Bombana un anno e quattro mesi fa. Nonostante il Covid, abbiamo raggiunto il nostro obiettivo.

Che tipo di cucina propone a Pechino?

Cucina italiana, classica, utilizzando ingredienti locali e importati. Usiamo la materia prima italiana che possiamo avere qui, mentre i prodotti freschi sono tutti locali, certificati e di grande qualità. Ci sono grandi restrizioni per l’import-export, per questo ci dobbiamo avvalere di prodotti locali, ovviamente, d'eccellenza. Funghi, carni, anche il tartufo, insomma. Una cucina autentica italiana con l'innesto del mio background altoatesino, visto che mi piace rappresentare le mie origini. Un piccolo esempio sono lo strudel e gli gnocchi rivisitati. È stato interessane portare la mia idea di cucina rispetto a quella di Bombana, chef che con quella da me conquistata nel suo ristorante, oggi può vantare nove stelle Michelin, dopo 30 anni in Asia.

E le reazioni dei cinesi alle sue proposte?

Siamo a Pechino, sicuramente qui è difficili far capire quale sia la filosofia dietro alla cucina italiana. I pechinesi sono chiusi nelle loro tradizioni, per cui proporre la cucina italiana è una sfida molto stimolante. Oltre al piatto in sé, è importante rappresentare il nostro paese, così come la mia provincia, attraverso un’offerta gastronomica sincera. Ad esempio, vado in sala e spiego il tartufo, cerco di rappresentare il nostro paese per la semplicità che è capace di esprimere. Una qualità apprezzata molto dai cinesi di Pechino.

Qual è lo spazio specifico per le cucine regionali italiane, nell'offerta gastronomica italiana in Cina?

In un paese così grande è difficile rappresentare nello specifico la regionalità che caratterizza la cultura gastronomica italiana. Spingiamo sulla pasta, e quella fresca piace molto. Ad esempio, le pappardelle fresche con la carne sono ampiamente molto, così come il manzo e, ovviamente, il pesce. Qui per la maggiore va il gusto diretto, forte. In questo vedo una discreta similitudine con le preferenze gastronomiche italiane.

Dalla Ritz di Merano alla stella Michelin a Pechino. È passata tanta acqua sotto il ponte, non crede?

Dal periodo scolastico sono passati tanti anni. Ad ogni modo, quello per me rimane un percorso importante. Un grandissimo passaggio, rispetto alla mia carriera professionale e devo dire che se tornassi indietro, assolutamente rifarei tutto quello che ho fatto. A chi sostiene che la scuola alberghiera sia un ripiego, posso rispondere che non è assolutamente così. Questo è un lavoro di sacrificio ma che offre enormi soddisfazioni per chi si impegna a fondo.

Una curiosità: come è strutturato il suo locale?

In cucina lavorano venticinque miei collaboratori, mentre una ventina operano in sala. Abbiamo 40 posti a sedere e due sale privata per un totale di 60 coperti. La nostra clientela è anche formata da giovani detentori di ricchezze spropositate. Detto questo, la anticipo, per mangiare nel nostro ristorante si può spendere all'incirca dai 50 ai 200 euro, con una cantina che offre 1000 etichette di vini tutti italiani.

A Merano, ci torna ogni tanto? E in Italia, andrà mai a lavorare?

A Merano torno poco, mi piacerebbe fare un viaggio in estate ma per via del Covid, Pechino è diventata una città molto restrittiva che prevede 21 giorni di quarantena in caso di rientro da un viaggio. Ad oggi, siamo sotto Capodanno cinese e sotto Olimpiadi. Nella capitale cinese possiamo fare qualsiasi cosa, ma esistono precise limitazioni nel girare altre città, e rientrare a Pechino diventerebbe complesso. Tornare a Merano? Sono partito per l'Oriente con il patto di rimanerci sei mesi, e sono qui dal 2016. Oggi le mie opportunità di crescita sono qui, ma in un futuro che non so definire, potrei anche tornare, credo.













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