STEFANO VECCHI

«Clima surreale: ricominciare solo con sicurezze» 

Silenziati Druso e Maso Corto. La quotidianità del mister  biancorosso fra la “reclusione” domestica e la fuga a comprare i giornali: «Compiti a casa ai ragazzi, per tenersi un po’ in condizione»


Filippo Rosace


BOLZANO. Chiusi causa Coronavirus. Stadio Druso e Maso Ronco, i due “templi” calcistici principali sono delle arene spogliate della loro identità, fatta di corse, dribbling, urla ed emozioni.

«C’è senza dubbio tristezza, perché sono dei luoghi di aggregazione» spiega mister Vecchi, allenatore dell’Alto Adige Südtirol. «Lo stadio è un luogo simbolico ma non solo per chi pratica lo sport ma anche per gli appassionati di calcio, ad esempio Maso Ronco lo vivono anche tanti ragazzini. L’immagine che sia chiuso a chiave suscita certamente tanta impressione e malinconia».

Stefano Vecchi è uno dei tanti addetti ai lavori costretti a rimodulare il palinsesto delle proprie giornate, impegno che diventa complesso per chi come per il tecnico bergamasco, la vita a Bolzano rappresenta un momento di quotidianità lavorativa.

Mister, cosa fa in questi giorni?

Sono rintanato in casa, tranne quello che è possibile fare durante quella mezz’oretta, trequarti d’ora durante la quale vado a fare la spesa o comprare il giornale. La società ci ha chiesto di rimanere in zona, per cui siamo rimasti tutti qui a Bolzano. La mia famiglia? Ci sentiamo telefonicamente, purtroppo anche loro sono in casa e devono portare pazienza, un sacrificio che facciamo tutti in attesa di tempi migliori.

Stadi chiusi, campi di allenamento inibiti a qualsiasi attività. Cosa resta da fare a chi mastica calcio in ogni momento della giornata?

Dal punto di vista calcistico chiaramente la situazione rappresenta una forte mancanza per tutti, un’assenza pesante per chi fa parte di questo mondo, sia per chi ci lavora come noi, sia per chi lo vive come una passione. Il calcio regala sensazioni e momenti di svago, ma sono situazioni che, in questo momento, devono passare in secondo piano perché la salute viene prima di tutto. Il calcio che rappresenta una parte importante della nostra vita, in questo momento è invece un’appendice. Sono nato nel 1971, per cui ho vissuto momenti belli, pur intervallati da situazioni difficili e complicate, ma posso dire che questa è la prima vera emergenza che mi trovo ad affrontare così duramente. È un po' tutto strano e surreale, sia per quanto riguarda la vita che fai sia quella che vedi in giro (poco) in quei minuti di breve libertà. La situazione è complessa e, per alcuni versi, tutta da verificare per cui ci dobbiamo rifare alle esperienze degli altri. Gli scienziati parlano che nei prossimi giorni avremo il periodo peggiore e poi pian piano riusciremo a tornare alla normalità… mi auguro che sia veramente così. Mi fido delle persone competenti, anche se mi rendo conto che anche per loro la situazione che stiamo vivendo sia veramente nuova. Per quanto ci riguarda penso che non riusciremo a riprendere dopo il 3 aprile, soprattutto dopo i casi dei giocatori che hanno denunciato il contagio, situazione che non fa altro che complicare le cose. I calciatori non sono immuni, e penso che sia giusto far passare ancora altro tempo, quindi ricominceremo quando avremo maggiori sicurezze e certezze.

L’attività dell’Alto Adige dovrebbe riprendere il 20 marzo, adunata che non è ancora sicuro che possa risuonare all’interno del recinto di Maso Ronco.

I ragazzi sono tutti qua nei rispettivi alloggi. Tutti stanno cercando di fare i compiti a casa, per quello che sarà possibile, giusto per tenersi un po' in condizione, credo che poi avremo modo e tempo di riprendere. L’augurio è che il Coronavirus venga sconfitto e che si possa riprendere questa stagione. Il limite del vincolo contrattuale è quello del 30 giugno, per cui se la stagione dovesse protrarsi sino a questa data credo che il campionato possa tranquillamente concludersi, disputando eventualmente anche playout e playoff.













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