LA RIPARTENZA

Negozi, in Alto Adige oggi si riapre: “Ora basta lockdown”

In un anno chiusi 5 mesi. C’è chi si è dato all’online ma non tutti hanno potuto farlo. Vetrine rinnovate e tanta voglia di girare pagina



BOLZANO. Negozi, oggi si riapre dopo sei settimane di chiusura. In totale, nell'ultimo anno cinque mesi con le serrande abbassate. C'è chi ha resistito perché era piccolo, senza o con pochi dipendenti, e solo per garantire un servizio ai clienti affezionati, anche se con le consegne a domicilio si è raccattata solo qualche briciola. C'è chi ha tenuto chiuso perché non ne valeva la pena ed era troppo piccolo, non abbastanza strutturato per darsi seriamente all'e-commerce. C'è chi ha adottato strategie diciamo non proprio ortodosse, perché le regole vanno bene ma bisogna pur resistere: la merce te la porto fuori, scegli, paghi e te ne vai senza che te la consegni a casa; o sennò, due ore al mattino un giorno sì e uno no, telefoni a dire cosa ti serve e poi magari entri a provare ma solo dove non ti vedono da fuori: vestiti da bimbi, bici, caschi da bici, scarpe. E poi c'è chi, per dimensioni, ha potuto puntare quasi tutto sul web. Ma poi, c'è anche chi ha chiuso e non avrà più la forza di riaprire.

Difficile dire quanti, per ora, troppo presto, ma sull'asse corso Libertà, via Museo, Portici, se ne contano a decine: serrande magari già abbassate da prima, di certo non riapriranno adesso. Gli altri, tutti quanti speranzosi. Perché il vaccino, perché la bella stagione, perché i turisti... E anche perché un altro lockdown proprio no. Le critiche nei confronti della politica, come nel caso degli ambulanti, di certo non mancano, ma qui si batte ancora più duro sulla Provincia: basta andare controcorrente rispetto al resto d'Italia, dove si è chiuso molto meno; serve una politica unitaria, chiara, univoca, ispirata a principi scientifici elaborati da enti e istituti che qui, noi, non abbiamo.

Vetrine rinnovate. Sono giorni, ormai. Le grandi catene, i franchising, hanno già sistemato vetrine e assortimenti. I piccoli se la prendono un poco più con calma. In vetrina è stato tutto rinnovato: scarpe, abbigliamento, accessori. Fiori, colori primaverili, accenni di pasqua. Ma poi ci sono le vetrine chiuse da cartoni, cellophane, giornali, cartelli affittasi e vendesi. Non un bel vedere.

Aperti anche  per garantire servizi. Annamaria Battisti, "non solo Porcellana..." di corso Libertà, vende casalinghi. Racconta che è sopravvissuta a queste ultime settimane per due motivi: «Niente dipendenti ma soprattutto non me la sentivo di abbandonare i clienti affezionati. Intendiamoci, con le vendite a domicilio soltanto briciole, ma ho fornito un servizio». A volte, addirittura, le netta sensazione che chi telefonava in realtà non avesse bisogno di niente o di poco: cercava piuttosto un contatto umano. Ora si pulisce, si appronta, si è speranzosi: «Ormai arriva la bella stagione, non possiamo che essere fiduciosi». Si attende il vaccino, la scomparsa del Covid causa caldo.

Il web non è per tutti. Reinhilde Ceol, Antea di galleria Sernesi, vende calzature. «Ora basta che non si inventino di spostarci le svendite come l'anno scorso, quando le avevano messe ad agosto. Adesso bisogna andare incontro alla gente». Pochi soldi in giro, tanta voglia di incassare. Perché negozi come questi del centro, di dimensioni medio piccole, in un anno hanno perso centinaia di migliaia di euro di fatturato. «Noi siamo troppo piccoli per l'online, ci vuole una struttura, almeno due persone dedicate, una segreteria. Abbiamo tenuto chiuso, in queste settimane. Adesso ci lascino lavorare in pace».

Da novembre, un periodaccio. Paolo Balzari, Kiro's sotto i Portici, vende camicie e cravatte: «Il problema sono stati gli ultimi mesi, dall'autunno in poi, chiusi a novembre, due settimane a dicembre, tre settimane di gennaio e di nuovo sei settimane chiusi. Avremmo dovuto svuotare i magazzini con le svendite, e invece niente». Ora si riapre con la merce primaverile, e si offriranno anche delle promozioni. «E speriamo che pian piano con maggio arrivino i primi turisti». Pesa molto che non riapra tutto, perché bar e ristoranti portano indotto. Lo stesso discorso viene fatto dai pochi che avevano aperto prima, tipo gli alimentari: fra gente in smart working, niente turisti, quasi tutto chiuso, anche se tu puoi aprire ti manca il giro.

Troppo non senso. Riccardo Francesconi, store manager di Sportler, è molto critico sulle scelte della Provincia, sui codici Ateco che non si potevano vendere, mentre nel resto d'Italia era possibile, anche nei negozi Sportler, che non sono rimasti chiusi né a novembre né a febbraio. Il negozio in fondo ai Portici ha resistito con l'online - parte del personale dello store è stato impiegato allo scopo, specie nei magazzini - e con l'officina per le bici. «Ma in una città dove si privilegia la mobilità ciclistica, impedire di vendere le biciclette non è stata una scelta giusta». Specie con la voglia che c'è quest'anno di scoprire l'avventura a pochi chilometri da casa. Specie perché altri negozi, anche vicini a Bolzano, in barba alle regole hanno continuato a vendere.













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