il progetto

Salorno, l'integrazione passa dalle mamme straniere

Immigrazione sopra il 20%, il capoluogo della Bassa diventa laboratorio di inclusione. Già scelte Sibille Bazzanella: «Le donne che hanno un figlio hanno bisogno di confrontarsi con professionisti e coetanee che vivono situazioni o emozioni simili»


Massimiliano Bona


SALORNO. Da paese con un’immigrazione record - superiore al 20 per cento - Salorno si sta trasformando, grazie a un processo virtuoso, in un laboratorio per l’inclusione. Le best practice sono tali e tante che diventa sempre più difficile inventarsi qualcosa di nuovo. Grazie al progetto «Convivere a Salorno» questa volta la cittadina della Bassa Atesina ha deciso di «dare voce alle giovani mamme straniere» in un momento della vita - quello della nascita di un figlio - in cui serve sovente il confronto con i professionisti del settore ma anche con coetanee che vivono le stesse emozioni, la stessa quotidianità, gli stessi problemi.

A questo scopo la giunta comunale ha individuato una task force ormai collaudata, di cui fanno parte la coordinatrice Sibille Bazzanella, l’educatrice Lisa Dallapiccola e la psicologa Alice Caldani che saranno impegnate per un totale di 175 ore (95 più 40 più 40).

«Abbiamo già scelto i locali idonei, adesso stiamo lavorando - sottolinea Bazzanella - sugli orari e le giornate. Stiamo pensando a un contesto informale, davanti a un te o a un caffé, in cui la parola chiave dovrà essere confronto. Il tutto sempre all’insegna dell’inclusione con le mamme del posto».

Oltre alla parte psicologica, c’è l’intenzione di coinvolgere una dula (figura assistenziale che si occupa del supporto alla donna durante tutto il percorso, dalla gravidanza al post-partum) ma anche un’esperta in ambito sanitario. Abbiamo chiesto alla coordinatrice Bazzanella qual è il quadro generale oggi in Bassa.

A che punto è, oggi, l’integrazione a Salorno?

Il dato positivo è che stiamo crescendo costantemente. Chi è qui da parecchi anni ormai si è integrato nel tessuto sociale al punto da aver messo in piedi un’associazione.

Associazioni di stranieri con cui avete iniziato a collaborare?

Certo, piano piano sta nascendo una rete virtuosa. C’è l’interesse comune a fare qualcosa di buono per le famiglie e per la comunità a 360 gradi. Chi non è di passaggio cerca il confronto, un supporto. E in una realtà piccola come la nostra é più facile riuscire ad offrirlo.

L’obiettivo è quello di intercettare e dare voce alle giovani mamme straniere. Perché questa scelta?

In realtà è stata abbastanza semplice e naturale. Molte di loro vengono da un percorso scolastico in loco, si avvicinano con i figli alle strutture per la prima infanzia e spesso sono più aperte al confronto rispetto ai genitori. Se attiriamo mamme e bambini, stranieri e locali, nella fascia 0-3 anni riusciamo a formare un gruppo. A includere. E quindi raggiungiamo il nostro obiettivo di fondo.

Ci sono etnie che fanno più o meno fatica?

In realtà a fare la differenza è la volontà di restare o meno. Chi si sente “di passaggio” non si avvicina. Gli altri fanno il primo passo e sta anche a noi coinvolgerli con proposte interessanti.

L’integrazione non può prescindere dalla conoscenza della lingua - italiana e tedesca - e Salorno sta lavorando anche su questo. Poi le barriere, anche quelle culturali, piano piano si sgretolano.

Oltre alle tre “donne in prima linea” che stanno facendo davvero un lavoro egregio c’è anche un gruppo di lavoro più ampio - che comprende tra gli altri il sindaco Roland Lazzeri e l’assessora Samantha Endrizzi - che si occupa dei progetti sull’inclusione nell’ambito di «Convivere a Salorno».













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