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Addio a Virginia Germozzi, artista anticonvenzionale 

Il lutto. Animatrice della vita culturale, apriva la sua casa-museo a palazzo Stillendorf Accoglieva chiunque volesse dipingere, parlare di arti figurative, dedicarsi alla meditazione



BOLZANO. Se n’è andata Virginia Germozzi. Come ben sintetizza la nipote Manuela Angeli, «86 anni spesi a fare un sacco di cose anticonvenzionali». Fra le quali animare a suo modo la vita artistica e culturale della città.

Appassionata di arti figurative e arti olistiche, di pittura, di meditazione, nella sua casa-museo a palazzo Stillendorf che aveva lasciato pochi anni fa, all’angolo fra via Roggia e via dei Vanga, nel suo salotto accoglieva chiunque. Le pareti altissime ricoperte di quadri del padre - il pittore architetto poeta Francesco Germozzi, originario delle Marche, arrivato a Bolzano nel 1934 e per anni insegnante di disegno alle Magistrali - del primo marito, Max Radicioni, e di grandi artisti astratti.

Vivace, vitale, sempre piena di idee. Prima insegnante di italiano nelle scuole tedesche, poi animatrice culturale con frequentazioni con Luigi Serravalli, Silvia Spada, Arnold Tribus, Alex Langer, le donne della Fidapa e gli organizzatori del Fai, fino alla Musica in Salotto di Nives Simonetti, la missione di valorizzare l'arte di suo padre, i tredici viaggi in India nella luce del mitico Osho, la fondazione dell'associazione Ri-Crea che aveva coinvolto medici e filosofi, l'impegno civile e politico con i radicali. Era pure stata allieva di Arno Stern, pittore ebreo che aveva lavorato con i primitivi creando una nuova grammatica dell’espressione basata sugli archetipi: la libera espressione pittorica. Era stata sei mesi nell’atelier di Stern a Parigi e poi aveva portato le sue teorie anche nelle carceri e in centri di disagio sociale, la prima in tutto il Triveneto. Aveva organizzato mostre all’Espace La Stanza e al bar Regina di viale Venezia.

«È sempre stata la zia un po’ folle», racconta la nipote Manuela, «quella che faceva cose che i suoi fratelli, mia madre o l’altro zio, non avrebbero mai fatto. Un altro mondo, parallelo. Aveva sposato un artista, aperto una galleria in via della Roggia». E poi, quella sua meravigliosa casa-museo a palazzo Stillendorf, «dove aveva allestito un atelier di pittura aperto a chiunque volesse esprimersi artisticamente». Virginia, prosegue la nipote, «aveva vissuto esperienze mistiche, alternative, in India, girava vestita di arancione, aveva appreso le tecniche di meditazione. E dispensava sempre le sue conoscenze con estrema generosità». In diverse occasioni i parenti l’avevano guardata con occhio critico, «ma proprio in questi ultimi giorni ci siamo resi conto che tutto ciò era parte di lei. Anche la morte, l’ha affrontata in maniera molto lucida, con gran serenità. Questa nostra parte di mondo occidentale non la vede così. Lei invece ha gioito per ogni piccola cosa, fino alla fine; questa è stata veramente la sua ultima lezione. Ci ha spiazzati: non si trattava di suggestioni momentanee». Virginia Germozzi durante la sua vita è andata sempre avanti per la sua strada, «senza minimamente preoccuparsi delle critiche altrui, di cosa la gente pensasse di lei».

Era stata anche «amica dei radicali di Pannella, aveva dato molto anche sotto questo profilo». Soprattutto però, dal punto di vista della nipote, «era la parte creativa e gioiosa della famiglia, aveva un altro modo di affrontare la vita». In casa, racconta ancora la nipote, «teneva una miriade di oggetti bizzarri, un museo a cielo aperto, dove ogni oggetto aveva una sua storia e un suo perché». Ora, «dispiace non aver un posto per esporre questa parte materiale della sua vita. Speriamo di riuscire a fare almeno qualche piccola esposizione d’arte. Essendo stata gallerista, ha lasciato una quantità di quadri, di stampe... Era particolarmente orgogliosa del suo papà, valente pittore. Sicuramente sarebbe stato un suo desiderio poter condividere tutto questo, non certo tenerselo per sé. E vorremmo anche che i suoi libri andassero a una biblioteca, a un ente dove possano essere apprezzati». «Di Virginia Germozzi che ci ha lasciato, in punta di piedi, come in punta di piedi ha camminato nel proprio cammino di vita, altre/i scriveranno meglio di me», ricorda commosso Primo Schönsberg. «La sua storia di donna semplice dal comportamento elegante e mai scomposta, rimane strettamente legata alla politica ovvero all’esperienza radicale in questa terra di confine senza mai dimenticare le proprie origini marchigiane dove di recente aveva voluto ritornare». DA.PA

 













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