Alzheimer, il rischio è di non farcela più 

Depressione, difficoltà economiche, scarsa informazione. Podini: «Non accettavamo che nostra madre non capisse»


di Sara Martinello


BOLZANO. «All’inizio ci arrabbiavamo, ci chiedevamo perché nostra madre non capisse. Non riuscivamo ad accettare che fosse in atto una malattia neurodegenerativa, la demenza senile» esordisce così Alex Podini, della nota famiglia da decenni anima dell’imprenditoria bolzanina. Isabella Scaravelli Podini, madre dei tre fratelli, moglie di Giancarlo ed ex maestra elementare, si è spenta il 30 novembre 2017 dopo essere stata colpita da demenza. «Tutte le badanti che mia madre ha avuto erano bravissime. Ma una in particolare era determinata a studiare, tanto che seguiva un corso a Salerno, in Campania, andandoci in pullman. Un’odissea. Allora ho pensato che sarebbe stato più utile fornire al personale di cura un modo per prepararsi alla professione direttamente qui in Alto Adige e mi sono rivolto al dottor Günther Donà e all’architetto Loris Alberghini, dell’Asaa (Alzheimer Südtirol Alto Adige), per aiutare mia madre e tutta la famiglia».

Depressione. La demenza può presentarsi in diverse forme: la più conosciuta è il morbo di Alzheimer, ma, spiega il presidente dell’Asaa Ulrich Seitz, «alcune forme, specialmente se accompagnate da depressione e altre malattie, non sono immediatamente riconoscibili. Confrontando le analisi del Ministero e di altri istituti, ogni anno riusciamo a fare una proiezione dell’incidenza qui in Alto Adige. I casi di demenze sono tra i 12 e i 13mila, con mille casi nuovi all’anno. Di questi, solo il 25% è preso in carico dai servizi sanitari, mentre il resto sono persone curate in casa da familiari o badanti: spesso la mancanza di un’informazione adeguata fa sì che le possibilità di ricovero non vengano sfruttate appieno». Una bella differenza, considerando le difficoltà non solo economiche - anche se queste hanno sicuramente il loro peso nel bilancio familiare. «Possono sorgere problemi legali ed economici» prosegue Seitz, «ma soprattutto i familiari delle persone colpite possono incorrere in crolli emotivi e nervosi ed esaurire le energie, il che comporta un maggiore stress psicologico anche per la persona affetta da demenza. Può crearsi il terreno per uno stato depressivo, che si aggiunge allo stigma associato alla demenza. Senza contare che sono in aumento le persone isolate, prive di un contesto familiare che le sostenga e di un supporto economico adeguato». Non è detto che la cura a casa sia la soluzione migliore, quindi, ma serve che chi cura sia adeguatamente preparato, come rilevato da Podini. E che abbia garanzie giuridiche e contrattuali, col diritto al congedo e con una riduzione degli orari di lavoro per i familiari costretti a dividersi tra vita lavorativa e attività di assistenza. «È più che mai necessario un registro provinciale delle demenze, per capire chi è assistito, dove, come e con quali risorse e per avere contezza del numero di familiari impegnati nella cura, delle risorse economiche profuse e delle strutture dove si erogano determinate prestazioni. Inoltre va ampliata la rete di comuni dementia friendly, sull’esempio di Egna, e va migliorata la rete di comunicazione tra paziente, familiari, medico di base o specialista e strutture. Nella maggioranza dei casi i pazienti sono seguiti da geriatri: solo un terzo di loro si rivolge a esperti di psichiatria» conclude Seitz.

Prime soluzioni. A dare un primo, importante supporto informativo è Barbara Plagg, ricercatrice dell’Università di Bolzano, con l’opuscolo “Prevenire i disturbi della memoria”, presentato ieri nella sede dell’Asaa (piazza Gries 18). «L’incidenza delle demenze è in forte aumento: per il 2050 è previsto un raddoppio dei casi. Nell’opuscolo sono spiegati i fattori di rischio, ma soprattutto si danno consigli pratici per evitare che la malattia prenda il sopravvento sulle nostre vite». Perché, come racconta la consigliera provinciale e testimonial Asaa Brigitte Foppa, «la prevenzione e il confronto con altre persone sono fondamentali. Solo nel momento in cui mia madre è scomparsa ho avuto la forza di interessarmi all’associazione. Prima, per tutti e quindici gli anni della malattia, tra noi due non si era mai parlato di demenza». A Egna, intanto, l’architetto Loris Alberghini e l’ingegner Michele Conci stanno mettendo a punto una serie di interventi volti a migliorare la qualità della vita in casa, impiegando tecnologie informatiche quali sensori di pressione a pavimento, rilevatori di movimento e tessuti in grado di misurare l’umidità. Al progetto collabora l’informatico Mario Orlandi, che impiega il cosiddetto Internet of Things (un’evoluzione dell’uso di internet): oggetti “intelligenti” potranno caricare nel cloud i dati del paziente o essere mezzi per la teleassistenza, in modo da intercettare una dimensione di solitudine e restituire sicurezza e conforto. Col conseguente benessere psicologico della persona affetta da demenza e dei suoi familiari.













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