Bar in crisi: in un anno più di 50 chiusure

Benetello: «Uno su dieci non ce la fa. Il turnover è elevato». Duzzi: «Servono regole severe per l’accesso alla professione»


di Massimiliano Bona


BOLZANO. In città ci sono troppi bar che guadagnano poco e con personale non sempre all'altezza. A lanciare l'allarme sono Unione commercio e Confesercenti, la cui analisi parte dall'esame dei dati dell’ultimo anno che conferma le difficoltà del settore soprattutto in periferia. «Nel corso del 2012 - sottolinea Mirco Benetello, vicedirettore di Confesercenti - tra chiusure con pesanti indebitamenti e fallimenti veri e propri abbiamo superato quota 50 a fronte di un totale di circa 500 esercizi pubblici (incluse alcune decine di circoli aziendali ndr) solamente nel capoluogo». Come dire che uno su dieci non riesce a resistere sul mercato e viene letteralmente fagocitato dai suoi “competitor”. Per Dado Duzzi, vicepresidente dell'Unione, «i bar in diverse zone della città sono diventate una forma di disoccupazione nascosta. Chi perde il lavoro decide non di rado di subentrare alla guida di un esercizio pubblico - come un tempo si faceva con i tabacchini - e il più spesso delle volte, se non ha la necessaria preparazione, esce con le ossa rotte. Ovvero con debiti nell’ordine di diverse decine di migliaia di euro».

Il treno, per regolamentare in modo più restrittivo il settore per il medio-lungo periodo, Bolzano lo ha perso probabilmente una decina di anni fa. «Trento ad esempio - continua Duzzi - ha imposto una distanza minima tra un esercizio pubblico e l'altro evitando così il proliferare di bar nel raggio di poche decine di metri».

Prima dell’entrata in vigore del decreto Bersani, nel resto d’Italia (ma non in Alto Adige), la disciplina in tema di rilascio delle autorizzazioni era regolata da due leggi, in base alle quali le licenze erano concesse solo dopo la fissazione di un tetto. C'era in buona sostanza una sorta di contingentamento numerico. La legge 248/2006 ha scardinato il vecchio sistema consacrando il principio fondamentale, in materia di concorrenza, secondo il quale è bandita ogni limitazione riferita «a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale».

Le regole. Ma cosa si può fare, concretamente, per regolamentare ex novo un settore in sofferenza? «Il vero problema - sottolinea Mirco Benetello - è l'inesistenza di regole di accesso alla professione. Per aggirare l'ostacolo si dovrebbe intervenire a livello urbanistico: si potrebbero fissare dei requisiti tecnici, penso alla metratura minima dei locali o alla disponibilità di parcheggi, ai quali subordinare il rilascio di nuove licenze». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Duzzi. «È quasi impossibile mettere oggi dei paletti ma servirebbero poche regole, ma chiare, in grado di riqualificare il comparto nel suo complesso».

Aperture a oltranza. L'altro tema caldo è quello delle aperture a oltranza dei bar, sempre alla luce delle liberalizzazioni. Il decreto Monti demanda in modo chiaro ai Comuni la possibilità di regolamentare la materia. «E questo - continua Benetello - tenendo conto di fattori chiave quali la pubblica sicurezza, il disturbo della quiete pubblica e la tranquillità sociale». Dado Duzzi (Unione) sugli orari è sintonia con il sindaco Spagnolli. «Dobbiamo arrivare in un lasso di tempo ragionevolmente breve ad un gentlemen agreement che tenga conto delle esigenze dei proprietari degli esercizi pubblici ma anche dei residenti. È evidente che la questione riguarda soprattutto il venerdì e il sabato e i locali interessati dalla movida. Penso in particolare a piazza Erbe, corso Libertà ma non solo». D'accordo anche Confesercenti. «Entro due settimane ci confronteremo sul tema all'interno della nostra categoria ma poi siamo pronti a sederci a un tavolo con Hgv, Unione e Comune per fissare delle linee guida. In un contesto economicamente difficile come quello attuale sono davvero in pochi ad aver preso in considerazione le aperture fino a notte fonda».

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità