Bolzano: la Casa della Pesa cade a pezzi

Tarda la ristrutturazione, anche Desaler chiuderà i battenti


Davide Pasquali


BOLZANO. La Casa della Pesa sta cadendo a pezzi e il restauro è lungi dal partire. Ammirando lo storico edificio medioevale dall'esterno è piuttosto difficile rendersi conto, specie se si osserva la facciata su piazza del Grano. A uno sguardo più attento, il fianco di sinistra, affacciato su vicolo della Pesa, è appesantito da un ponteggio, posizionato diversi anni or sono. Gli altri due lati, affacciati sulla farmacia della Madonna e sui Portici, mostrano gli scuri verde scuro, tutti quanti sbarrati. Ma nulla di più. Per comprendere quali siano le reali condizioni dell'edificio occorre entrarci dentro: soffitti e pavimenti pericolanti, calcinacci e rifiuti ovunque, muri ammuffiti, fili elettrici a mezz'aria, scoperti, pericolose bombole di gas, affreschi e travi medioevali in precario stato di abbandono. «La situazione è drammatica», come ammette l'assessore comunale all'urbanistica Maria Chiara Pasquali. Ma i restauri tardano a partire, perché ancora non si è decisa la destinazione culturale dell'edificio, ceduto dal municipio alla Fondazione Cassa di Risparmio oltre tre anni fa, per 4,3 milioni di euro. Comune e Fondazione non si sono ancora accordati. E finché non ci si accorda, non si può elaborare il progetto edilizio. Ergo, tutto bloccato.
La Casa della Pesa, in tedesco Waaghaus, è un edificio di impianto romanico risalente al XIII secolo, ristrutturato nel corso del XVII e del XVIII secolo. Fino al 1780 fu sede della pesa pubblica, raffigurata nell'affresco sull'arco del vicolo d'accesso ai Portici. È una delle più antiche costruzioni in muratura del centro storico, una delle più prestigiose. Da sempre di proprietà pubblica, come testimonia lo stemma di pietra della municipalità di Bolzano posto sopra la porta laterale dell'ex bar Rubens, chiuso ormai da quattro anni. Beffardo, dietro alle inferriate dell'ex bar sotto i Portici, campeggia un foglio scritto a mano: chiuso per restauro. Nel vicolo della Pesa da anni i turisti strabuzzano gli occhi: a poche decine di metri da piazza Walther, nella città dove si pettinano anche i fili d'erba delle aiuole, le vetrate del bar sono coperte di scritte vergate con la bomboletta e i vetri sono deturpati da vecchi annunci pubblicitari. Sopra la testa, il ponteggio, montato circa tre anni fa per evitare il crollo delle tegole. Da allora, le finestre dei dirimpettai risultano totalmente coperte dall'impalcatura.
«Uno scandalo, non fanno niente da anni: vergogna!», commenta un anziano passante, incuriosito da chi sta scattando foto all'edificio.
Qualche lieve speranza ci sarebbe anche. Negli ultimi giorni si è sparsa con insistenza una voce: nel giro di poche settimane lo storico negozio di casalinghi Desaler, gestito dall'omonima famiglia dal lontano 1878, ossia dalla bellezza di 132 anni, chiuderà. Dentro al negozio vari cartelli: svendita totale dal 10 gennaio. Il titolare preferisce tacere, ma lo sguardo rattristato dice già tutto: costretti a chiudere. E gli affezionati clienti confermano: «questione di tre settimane». E allora vien da pensare: finalmente parte il restauro. Ma l'assessore alla Cultura Trincanato smentisce: «Non abbiamo ancora concordato il progetto culturale. La Fondazione, previo restauro, dovrebbe destinare l'edificio a scopi culturali per vent'anni». «Auspichiamo un'accelerazione nelle procedure», precisa l'assessore Pasquali. Ma dalla Fondazione arrivano soltanto generiche rassicurazioni. Il vicepresidente Andrea Zeppa: «L'acquisto è stato perfezionato nel 2010. Abbiamo diverse idee, ma è prematuro fornire anticipazioni. Spero che entro il 2011 riusciremo a trovare un punto d'accordo col municipio. Intanto però, anche se il restauro non è partito, effettuiamo la manutenzione».
Cosa intenda esattamente si stenta a capire, se si ha la ventura di scovare chi ancora possiede le chiavi dell'edificio. Proprietà privata o meno, visto il rilevantissimo interesse pubblico, un sopralluogo è obbligo morale.
All'entrata i campanelli, ancora coi nomi degli affittuari comunali, sloggiati da anni. Nell'atrio, mura ammuffite e un incomprensibile quadro elettrico coi contatori digitali. Di ultima generazione, ma serve a nessuno. In alto, uno squarcio sul muro: fili elettrici a vista. A destra un vecchio bagno in condizioni indecenti. Una porta permette di scendere in cantina: paratie in legno sgangherate, a terra immondizie. Qui, un tempo, c'erano le scuderie. Ancora si notano le mangiatoie degli animali da soma. I muri del Duecento, in ciottoloni arrotondati di porfido, gridano vendetta, sommersi da ragnatele, immondizie cadute dalla bocca di lupo e cementaccio cadente. Fuoriusciti dall'antro, umidissimo, si può salire ai piani superiori. Rischiando la pelle. Non è un'esagerazione: nel pavimento si aprono voragini e, essendo buio, si rischia di precipitare di sotto. Bucati anche i soffitti. Sulle scale, innumerevoli cicche. Non sono di sigaretta. Le fumavano gli abusivi, che avevano occupato la casa una volta sgombra dagli inquilini. Per evitarlo, si erano cementate porte e finestre, ma qualcuno era poi riuscito ad aprirsi nuovi varchi, demolendo le paratie. Ovunque calcinacci, vecchi scaldabagno, ruggine. Un biglietto su un davanzale: «Attenzione. Cavo elettrico. Non toccare. Pericoloso». Antichi parquet di legno sventrati. In mezzo all'atrio del secondo piano, due schienali di sedia gettati a terra a coprire un buco nel pavimento. Se ci si cammina sopra, si finisce al piano di sotto. Solo la mansarda, con vista meravigliosa su piazza del Grano, era stata parzialmente ristrutturata dagli inquilini, i «5 artisti». Ma sulla maggior parte delle antiche travi portanti del tetto, guano di piccioni e ragnatele.
A stringere il cuore sono però decine di test sull'intonaco, eseguiti tre anni or sono dai Beni culturali: evidenziano travi di legno, decorazioni e affreschi. Dio solo sa quanto bisognosi di un restauro. Non fra qualche anno, ma subito. Perché questa casa è patrimonio della città.

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