Bolzano, un capoluogo laboratorio


Paolo Campostrini


Forse è solo un’impressione ma Bolzano che si riconsegna a Spagnolli subito, senza l’ordalia del ballottaggio, sembra una città così sfinita dalle proprie anomalie (etniche, sociali, economiche) da arrivare a chiedere per sè un futuro di normalità. Come se l’età, le troppe passioni che l’hanno percorsa, le ferite che ne segnano le geografia anche urbana, la stessero inducendo ad un quieto e un poco malinconico realismo.
I quartieri, dove la destra ha sempre fatto la sinistra e dove la sinistra temeva di non saper più parlare la lingua dei suoi vecchi operai ormai terziarizzati, chiudono le loro strade popolari di fronte a Oberrauch cinque anni dopo averle spalancate a Benussi. Ma è anche il resto della città italiana, pure quella littoria dove si è installata da sessant’anni la borghesia delle professioni, che comunica ai suoi tradizionali partiti di riferimento (prima An, poi Fi ora il Pdl) di non essere più disposta a sottoporsi al ricatto etnico. Piazza Vittoria sarà sempre casa sua ma le danze della pioggia intorno al totem-monumento non basteranno più. Il messaggio è chiaro: la Biancofiore dovrà inventarsi una proposta politica più raffinata per il capoluogo del sempiterno «noi-loro», «tedeschi-italiani». In molti, tra i bolzanini, devono aver colto questo senso di deja-vu in una campagna molto, troppo tradizionale, tanto da premiare in consiglio comunale proprio i candidati holzmanniani nonostante la loro scelta moderata li avesse posti in rotta di collisione con la deputata.
Spagnolli può così dire che la maggioranza degli italiani di Bolzano è con lui. Forse è vero in parte. Perchè molto ha contato l’astensionismo. E ancora di più il suicidio politico del centrodestra che aveva sempre custodito orgogliosamente la prerogativa della rappresentanza maggioritaria della comunità italiana. Mitolo si metterebbe a piangere ad assistere alla dispersione di questo patrimonio. Ma anche lui aveva compreso, a differenza di quanti oggi reggono il suo partito, che le cose stavano cambiando. E anche i suoi elettori.
Bolzano che decide di non farsi più riconsegnare al passato conferma, comunque, di essere una città-laboratorio. Dove le tensioni a volte si acuiscono per la presenza visibile, spesso monumentale, delle ferite del passato e delle identità contrapposte ma in cui italiani e tedeschi da sempre convivono, aderendo molto più che in periferia alla quotidiana fatica del vivere; e dunque con la capacità di elaborare, istintivamente, concrete possibilità di dialogo. Tanti tedeschi abitano ormai nelle case di Firmian e scoprono che il disagio non è solo italiano ma di un capoluogo che spesso è costretto dalla Provincia alla scarsità delle risorse; tanti italiani hanno rielaborato il loro rapporto con l’inevitabilità del bilinguismo e dell’autonomia. Il risultato? Che il Pd, il partito del sindaco uscente, non è stato più mortificato «in quanto» alleato dell’Svp: in sostanza l’intesa tedeschi-italiani non è più una discriminante in negativo anche se la prossima giunta dovrà, ben più di quella passata, mostrarsi in grado di elaborare un progetto complessivo per il capoluogo, abbandonando incertezze e vacuità. Perchè, per assurdo, è stato il Pdl a «fare campagna» per il Pd il quale, tra cinque anni, non potrà ancora sperare negli schiaffoni tra i candidati avversari.
Bolzano sembra quindi indicare un ancora fragile ma visibile desiderio di fuoriuscire dal Novecento. E di volerlo in netto anticipo rispetto alla provincia dove, tra i sudtirolesi, la destra identitaria è pronta ad azzannare l’Svp all’ombra di molti campanili. E’ per questo, per una specificità urbana sempre più da valorizzare, che anche i bolzanini di lingua tedesca sono chiamati a non ignorare questi segnali che giungono dal voto. In parole povere l’Svp dovrebbe sempre più parlare, nel capoluogo, la lingua del «ragazzo del Lido» Pichler Rolle più che quella del nostalgico Ellecosta. E la Stella Alpina dovrà curare il suo strabismo: ha rinfacciato per anni agli italiani di Bolzano di aver votato per la Vittoria nel referendum voluto da Salghetti sulla ridenominazione della piazza ma ora quelli stessi italiani hanno premiato gli uomini del dialogo con i tedeschi. Sarebbe arrivato il momento, per la giunta, di parlare una sola lingua, quella della città, non più quella dei partiti e soprattutto non solo quella di via Brennero. Bolzano, questa Bolzano, non merita più che l’Svp ne faccia terra d’invasione per le compagnie di Schützen che marciano alla luce delle fiaccole e al rullo dei tamburi. Come il Pd avrà il mandato, chiaro anche se non scritto, di rappresentare gli interessi del capoluogo al tavolo di Durnwalder con ben altro piglio rispetto al passato.
Il voto ha poi detto altre cose. Che la voglia di poltrone dei piccoli partiti italiani non è stata premiata. Le liste dell’1% sono state mortificate dalla sparizione improvvisa del ballottaggio. Spagnolli potrà governare da solo ed è sfumata la capacità di ricatto politico, così come si è rivelata labile e sostanzialmente fantasmatica la loro proposta politica a fronte dei bisogni di una città che ha mostrato di aver altro a cui pensare che non alla frammentazione delle liste.
E ancora. Non è stata premiata la destra tedesca. E questo è un’ altra testimonanza che giunge dal laboratorio-città che non premia più chi si dimostra troppo etnocentrico. Sia nei quartieri (tra gli italiani) che in centro (tra i tedeschi).
Bolzano è così, fa quello che non t’aspetti. Come aveva anticipato, premiando la destra vent’anni fa, tendenze che si sarebbero poi consolidate anche altrove, oggi ha il coraggio di uscire dall’angolo.
Il mandato al centrosinistra non sarà certo definitivo, un centrodestra con una proposta politica più articolata potrà risorgere ma la città ha mostrato una linea di tendenza: tedeschi o italiani, qui sono tutti bolzanini.

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