Giustizia

Caporale degli alpini condannato per nonnismo 

Due episodi a sfondo sessuale. Il militare è stato espulso dall’esercito e fa l’imprenditore. Potrebbe ricorrere in Cassazione. Nessuno dei sottoposti aveva presentato denuncia 


Mario Bertoldi


BOLZANO. Due episodi di “nonnismo” in ambito militare, sfociati in una duplice accusa di violenza sessuale, sono costati cari ad un giovane caporalmaggiore in servizio presso il comando della Brigata Alpina Tridentina di stanza a Bolzano.

Il giovane è stato condannato penalmente ed espulso dall’esercito. Ora è impegnato in un’attività imprenditoriale ma rischia di dover fare i conti con le conseguenze della condanna subìta in appello a due anni e nove mesi di reclusione.

In primo grado il verdetto era stato addirittura più severo: all’uomo erano stati inflitti sei anni con interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale per tutta la durata della pena.

I fatti risalgono al 2010 quando il caporalmaggiore in servizio a Bolzano venne temporaneamente trasferito, con funzioni addestrative, al settimo Reggimento Alpini di Belluno. E proprio a Belluno avvennero i due episodi incriminati che aveva coinvolto, complessivamente, 13 caporali impegnati nei corsi di addestramento operativo.

L’imputato venne accusato di aver sostanzialmente abusato della propria posizione di responsabile del piccolo gruppo.

Nel primo episodio, infatti, avrebbe richiesto ad un commilitone di appartarsi da solo dietro un cespuglio (al poligono di Venzone in provincia di Udine) per dare dimostrazione della propria virilità. Il secondo episodio contestato riguarda invece quello che sarebbe accaduto nelle camerate della caserma di Belluno con frasi ridicole e di scherno che i militari sarebbero stati indotti a scriversi a vicenda sui corpi nudi , genitali compresi.

Episodi che l’avvocato difensore bolzanino Alessandro Osler ha sempre definito «non certo piacevoli ma comunque dimostrazione di uno spirito goliardico».

In effetti la difesa ha sempre ritenuto che non vi fossero gli estremi per far rientrare gli episodi in questione nel reato di violenza sessuale quanto piuttosto che si trattasse eventualmente di violenza privata.

In un primo tempo il caso era finito al vaglio del tribunale penale militare di pace di Verona, con l’ipotesi della violenza e della minaccia a sottoposto. Solo successivamente (a seguito dei risvolti sessuali emersi) il tribunale militare si dichiarò non competente trasmettendo gli atti alla Procura di Belluno con contestazione della violenza sessuale.

Nessuno dei caporali coinvolti ha presentato denuncia né si è costituito parte civile. Dopo la condanna in primo grado, ora la Corte d’appello di Venezia ha ridotto sensibilmente la pena (a 2 anni 9 mesi) ma ha negato all’imputato (incensurato) la concessione delle attenuanti generiche nonostante i giudici abbiano ritenuto che le condotte contestate fossero di «minore gravità» e nonostante in nessuno dei due episodi fossero emersi finalità sessuali personali dell’imputato. Il quale, comunque, dopo essere rientrato a Bolzano, è stato espulso dall’esercito.













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