Certificati aboliti, i pediatri rassicurano

Leuzzi: preoccupazioni comprensibili ma ingiustificate. L’Intendenza: inopportuno alimentare timori



BOLZANO. La recente delibera della giunta provinciale numero 1656 abolisce il certificato medico di riammissione scolastica dopo malattia. «Con questo atto - spiega il direttore della ripartizione Intendenza scolastica Renzo Roncat - anche la nostra Provincia applica quanto deciso dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome in materia di semplificazione e de-burocratizzazione». L’abolizione del certificato di riammissione «ha trovato il pieno consenso della sezione di Bolzano della Federazione Italiana Medici Pediatri che ha escluso che questo provvedimento possa avere conseguenze negative in termini di sanità pubblica». L’assenza degli alunni «rientra a pieno titolo nella responsabilità genitoriale, il genitore o il tutore chiedendo la riammissione a scuola dopo un’assenza assolve totalmente gli obblighi verso il servizio pubblico in quanto il genitore è responsabile diretto della salute del minore». I timori che questo provvedimento possa indebolire il controllo sanitario sulla popolazione scolastica «non hanno fondamento come è dimostrato sia dall’esperienza delle regioni in cui l’abolizione è già avvenuta sia dalla constatazione che in nessuno degli stati europei ai nostri confini esiste questo tipo di certificazione».

A detta di Roncat «non è opportuno alimentare timori tra gli operatori scolastici e le famiglie, i dirigenti scolastici hanno a disposizione tutti gli strumenti necessari a prevenire e contrastare ogni possibile pericolo infettivo». La semplificazione dei regolamenti e delle procedure, conclude, «è un obiettivo fondamentale per agevolare la vita dei cittadini e ridimensionare la mole enorme di adempimenti spesso inutili della pubblica amministrazione».

«Comprendo la preoccupazione degli operatori scolastici», commenta invece la dottoressa Rosalba Leuzzi, segretaria provinciale della Federazione Italiana Medici Pediatri. «Tale preoccupazione - dice Leuzzi - però è priva di fondamento. Provo a spiegarne i motivi: le malattie infettive hanno la loro massima contagiosità nel periodo di incubazione, e cioè prima dei sintomi acuti e comunque a ridosso di questi; il bambino, anche quando era in vigore il certificato di riammissione, poteva rientrare in comunità prima del sesto giorno di assenza (e quindi nel periodo ipoteticamente più contagioso) senza alcun certificato, appare quindi non molto logico richiederlo quando il periodo di contagiosità si è esaurito». Nessuna malattia contagiosa e diffusiva infatti ha un periodo di contagiosità superiore ai sei giorni «come dimostra la normativa in merito ai periodi di contumacia previsti per legge in caso di malattie infettive».

In ambito scolastico «l’andamento delle epidemie, anche in periodo di “certificazione”, è stato modificato più che dalle attestazioni inutili, da altri provvedimenti: l’intervento di prevenzione specifica tramite le vaccinazioni (oggi se ne raccomandano e se ne eseguono il triplo rispetto a trenta anni fa), o la profilassi tramite antibiotico (per esempio in caso di meningite batterica) o la profilassi generica (come l’igiene personale e collettiva)».(da.pa)

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità