BOLZANO

Cinque amici bolzanini: «Noi, travolti nell’inferno di Torino»

Erano in piazza San Carlo: «Un incubo, il rumore dei vetri sembrava quello degli spari»


di Alan Conti


BOLZANO. Piazza San Carlo a Torino è un gioiello incorniciato dai portici simbolo, da sempre, della città sabauda. Sabato scorso, però, si è trasformata nell’anticamera del panico e della paura. In mezzo c'erano anche cinque ragazzi bolzanini partiti il giorno prima dall'Alto Adige: Andrea Brentegani, Samuele Quaglio, Andrea Cavallaro, Michael Bianco e Dennis Verra. Tutti fortunatamente rimasti incolumi, a parte una brutta ferita al ginocchio per Brentegani. È Denis Verra a raccontare quei momenti drammatici. Partendo dalla fine. «Sa quando ci siamo accorti che non c'era stato alcun attentato? Solo in albergo, diverse ore dopo». Il loro hotel era in zona Lingotto, praticamente dall'altra parte della città. «Ci siamo andati a piedi. Ci abbiamo impiegato ore». Fin dal pomeriggio di sabato nella piazza c'erano delle avvisaglie. «Siamo arrivati molto presto, alle 15.30. Già si avvertiva qualche preoccupazione. Manchester era una ferita ancora fresca e Torino, quella sera, era sotto tutti i riflettori. Con noi c'erano famiglie, bambini, anziani. Io non so come abbiano fatto poi a scappare».

Durante il secondo tempo, il panico improvviso e quelle ondate tremende della folla che travolgevano tutto e tutti. «Non ho sentito alcuno scoppio e non ho ancora capito cosa abbia innescato il panico. La gente ha iniziato ad urlare e schiacciarsi uno contro l’altro: noi, per fortuna, eravamo sul lato opposto. In ogni caso, lo spazio era ridottissimo. La persona davanti a me iniziava a indietreggiare velocemente e dietro ne avevo un'altra che mi comprimeva. Eravamo certi che fosse in corso un attacco terroristico: mi sono sentito imprigionato convinto che qualcuno volesse uccidermi. Una sensazione orribile». Una paura talmente profonda che anche i vetri in terra si sono trasformati in “spari”. «Schiacciandoli con le scarpe si spaccavano. Piccoli scoppi. Sentivo questo rumore ed ero convinto ci fosse qualcuno intento a sparare sulla folla dalle finestre dei palazzi. C'era una ragazza a terra, inerme e priva di sensi. Era ricoperta di sangue. Credo sia una delle giovani gravissime che in questo momento stanno lottando per la vita. Mi auguro con tutto il cuore che ce la faccia...». Poi, all'improvviso, un'altra ondata: «Dal fondo della piazza, stavolta. Stessa scena, ma con conseguenze meno tragiche perché in molti si erano già allontanati. A noi, però, pareva tutto studiato con un attacco a tenaglia prima sul lato sinistro della piazza e poi dal fondo. Tutti i peggiori incubi, le scene viste in televisione a Nizza o Parigi, erano davanti ai nostri occhi. Sentivamo quel terrore e non avevamo nemmeno la possibilità di scappare. Intorno sangue, urla e oggetti sparsi. Un inferno». Poi, finalmente, la fuga a piedi. «Solo a quel punto abbiamo cominciato guardare le notizie sul web. Non è vero che è stato solo un attimo di panico: è durato ore. Quando ti trovi in mezzo ad una situazione del genere sei solo, senza notizie certe. Ormai siamo talmente condizionati che lo dai per assodato. Ecco perché ci sentiamo come dei sopravvissuti».













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