Città senza storia lo scandalo del cinema Corso

«Chi ama la sua terra non sradica gli edifici I politici di allora non fermarono lo scempio»


di Concino de Concini


di Concino de Concini

BOLZANO

SEGUE DALLA PRIMA

. scalinata elicoidale di marmi pregiati. Giustificando il fatto che la scalinata impediva l’accesso agli handicappati: testuali parole di un assessore alla cultura! Chi ama la sua terra non sradica le case alle fondamenta con modi imperialistici, nazi-fascisti e barbarici. La società urbana restaura, riusa e riordina le opere d’arte ed artigianato del passato senza buttare via il lavoro, la perizia e la fatica dei padri. La mia opposizione solitaria alla distruzione del Cinema fu atto corsaro alla Pasolini, una provocazione pura secondo il metodo Greenpeace: “se bastasse chiedere con dati alla mano e con gentilezza lo avrei fatto ben volentieri”. Serviva un contrattacco immediato e cavilloso per dare modo e tempo di intervenire ai cittadini, agli intellettuali, ai politici, agli architetti ed urbanisti. Mi gettai a kamikaze sul Teatro Corso svenduto dalla Città per organizzare la difesa della città storica in quanto oggetto persistente, di lunga durata e fondato significato. Conoscendo la burocrazia immaginavo un tempo sufficiente per salvare a futura memoria i coltissimi edifici e studiatissimi spazi urbani realizzati dal populismo mussoliniano. Bolzano – Bozen & tacheghe anca Bulsan all’ epoca aveva un immenso potenziale turistico di città d’arte. Sono antifascista ma non stupido: come studioso non potevo celare a me stesso ed ai miei alunni che la Neu – Neu Bozen dell’Oltretalvera era il capolavoro dell’umanesimo europeo, l’erede finale del Filerete, di Dürer, del Palladio e Bernini. Per propaganda e follia nazionalista (embè? che c'è! Anche i bambini nascono da atti osceni compiuti in posti maleodoranti!) qui, attorno a casa mia, era sorta l’ultima Città Ideale d’Europa, progetto totale e monumentale “prototipo” di Chandigarah e Brasilia . Nel primo decennio “del pacchetto” la nostra Bolzano, era ancora una stratificazione didattica meravigliosa della Mitteleuropa, autentico archivio estetico della storia culturale tra 1870 e 1970. Bozen era un patrimonio Unesco da consegnare alla meditazione e documentazione delle future generazioni. Amministrato e completato nel dopoguerra del Sindaco Ziller questo gioiello di urbanistica e proporzione aurea era il classico “giacimento culturale” di valore pari ai pozzi di petrolio. Dalle semirurali alla via conciapelli, da Castel Firmian al Mulino Roessler, passando per la casa del fascio con tanto di bassorilievo meticcio e teutonico c’era tutta scolpita ed intatta la storia dell’arte occidentale, dal gotico al razionalismo esemplare. Al primo tentativo di spiegare il valore metastorico dell’abitato e dei suoi edifici notevoli la casta dei servi democristiani, socialisti e comunisti entrò in paranoia da inciucio con le lobby immobiliari ed i notabilati della terra fra i monti. Alla partitocrazia sedicente democratica non bastavano i sussidi da distribuire a pioggia, voleva il potere rassicuratorio del Potere, cercava il diritto di consolarsi con la prepotenza ideologica. Intanto per tre o quattro anni il fascicolo del mio solitario ricorso amministrativo ha navigato in ballottaggio tra uffici comunali (decisissimi a fare il favore ai prestanome dei soliti ignoti) tra burocrazie provinciali e udienze al Consiglio di Stato. Ma nulla si mosse a dextra e a sinistra. I liberi abitanti dell’avamposto alpino nella più perfetta delle terre fecero finta di nulla. Salvo Herbert Mayr, la Bauer Polo ed il Rizzolli tutti i politici si accucciarono al loro posto, allineati alla politica corporativa che zitta zitta stava passando dalle gabbie di tre classi etniche alla melting pot delle periferie “densificate”. Case come bunker e stie di polli: andate a vedere la lottizzazione di Casanova. All’inizio della fine dietro la facciata del Corso si udirono e videro le ruspe del costruttore di turno ed allora tutte le anime belle di sinistra democratica e di cultura alternativa corsero ad innaffiare con lacrime di coccodrillo il polverone politico della città svenduta ai manipolatori catastali ed ideologici. Compiuto il misfatto fu la frana: in nome dell’antifascismo distrussero la città. I mille architetti del sudtirolo, più di uno ogni quattrocento abitanti, capitanati dalla Banda Bassotti degli urbanisti “densificatori”, salirono sul bulldozer e spianarono ogni fazzoletto di terra per bucarlo come una gruviera e svilupparlo come una torre di babele. Per realizzare il loro obbiettivo non servono gli storici (che sono d’inciampo) e non serviranno neppure gli architetti (sostituiti dai funzionari provinciali e dalle norme europee) e neppure uomini politici cittadini perché le scelte postmoderne vengono fatte nei consigli d’amministrazione curiale, bancaria e fiduciaria. Auguri a Bozen che avrà il suo centro commerciale spianando in un colpo solo la camera di commercio, l’hotel delle alpi, la casbah, il parco urbano e la stazione delle corriere.













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