Claire, bolzanina a Gaza «La gente vuole la pace»

Claire Touboul, 23 anni, è appena tornata da un viaggio di un mese in Israele «La guerra ci ha sorpreso, oggi non sopporto chi si schiera come un tifoso»


di Alan Conti


BOLZANO. Due occhi blu da perdersi dentro che hanno visto un Israele diverso da quello che si racconta, un Paese che esplode all'improvviso e che per le strade cerca un briciolo di pace, uno straccio di serenità, forse la possibilià di abbracciare il nemico.

Claire Touboul è una bolzanina di 23 anni che, a dispetto della giovane età, ha una visione del mondo cosmopolita fin da bambina: mamma altoatesina di lingua tedesca, papà francese di Nizza e un percorso formativo triennale in Inghilterra. Un mese fa decide di partire per Israele con un'amica, Lydia Grossgasteiger, per trovare dei conoscenti e si ritrova proiettata dentro un terribile conflitto, arroventato nella Striscia di Gaza, con la normale paura addosso ma anche tanta voglia di capire.

"La prima percezione che qualcosa di drammatico fosse in atto l’abbiamo avuta appena scesi dall’aereo. Lo si leggeva in faccia alla gente: poi tutto è scoppiato con grande evidenza anche dal punto di vista mediatico. Ora tutti sono curiosi della guerra chiedendomi per chi simpatizzo ed è esattamente l'atteggiamento più lontano dalla vera realtà di Israele. Non esistono i tifosi ebrei o palestinesi, ma solo la distinzione tra moderati ed estremisti". Come vive la gente il momento? "E' stufa, impaurita, disperata. Si tratta di un Paese dove la solidarietà spontanea è molto più sviluppata che da noi. Smettiamola, poi, con questa cretinata di immaginarci israeliani e palestinesi come due popoli sempre divisi: vivono, parlano e vanno nei negozi insieme. Sono come i nostri gruppi linguistici". Però si tirano i missili e le bombe. "Sì, vero, sono ostaggio della politica dell'estremismo. Guardi, le confesso che io sono partita con una forte simpatia palestinese ma questa non si può confondere con le nefandezze che combina Hamas". Ovvero? "Cercano di rendere ospedali e zone civili obiettivi sensibili, convincono le persone al martirio, fanno calcoli sulle possibili vittime per destare scalpore. Il proselitismo che mettono in atto non ha eguali, è preoccupante. Tutto per condizionare l'immagine e la comunicazione verso l'esterno. Sono abili nei meccanismi mediatici". Cosa possiamo fare allora? "Cercare di capire meglio, provare empatia per chi soffre veramente. Non sono le entità Israele o Palestina a sentire il dolore, ma i bimbi senza mamma, i padri che piangono i figli o chi perde la moglie o il marito in uno scoppio. E’ una condizione psicologica devastante".

La guerra, comunque, ha bruciato la pelle di Claire. "Ho avuto paura sopratutto in un'occasione a Tel Aviv quando è scattato l'allarme e ho visto con i miei occhi un missile venirmi incontro. Poi un altro. Era oggettivamente rischioso tutto ciò che ci circondava". Si vive costantemente nell'attesa o nell’ansia. "Sì, abbastanza. Le sembra normale un Paese dove tutte le case nuove vengono costruite sistematicamente con uno spazio adibito a rifugio?". No, ma proviamo ad alleggerire la conversazione raccontandoci, allora, perchè vale la pena andare in Israele a metterci la faccia. "E’importante mettere in risalto certi aspetti. Si tratta di una terra di forte condivisione e dove la musica è regina incontrastata. Tutti suonano qualcosa e hanno voglia di raccontarsi con le note. Non solo, una situazione come quella che si vive ti costringe ad essere costantemememte collegata con te stessa, a interrogarti sulle tue paure e sulle tue forze. E' un lavoro che ti apre lo sguardo e ti dona, indipendentemente dalla volontà, consapevolezza".

Claire in Israele ha lasciato amici, di vecchia data e conosciuti durante il viaggio. Come si gestisce la preoccupazione a distanza? “Non è semplice, personalmente cerco di ascoltare il meno possibile le notizie che arrivano dalla striscia di Gaza”. Gli occhi, però, tornano spesso laggiù.













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