«Condanna all’ergastolo inflitta senza prove reali» 

Per il delitto al metanolo, l’avvocato difensore Boris Dubini deposita l’appello «I testi considerati credibili dalla Corte hanno evidenziato gravi incongruenze»


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Nessuna prova concreta e, soprattutto, una ricostruzione logica del dramma che offrirebbe molti punti discutibili e contestabili. E’ con questa considerazione di fondo che l’avvocato Boris Dubini, difensore della donna condannata all’ergastolo per l’omicidio al metanolo di Laives, ha depositato i motivi d’appello. Ricordiamo che Jana Surkalova è stata condannata per aver pianificato con lucidità l’omicidio del marito facendogli ingerire una notevole quantità di metanolo. Una condanna che si è basata su due considerazioni cliniche inoppugnabili: in primo luogo che l’operaio agricolo Josef Surkala fu stroncato (il 13 dicembre 2013) da una intossicazione acuta da metanolo con conseguente scompenso cardiaco ed edema polmonare, in secondo luogo che la perizia sulla causa della morte dell’uomo indicò un dato scientifico molto preciso e cioè l’assenza nell’organismo della vittima di alcun metabolita dell’etanolo, cioè l’alcol contenuto in tutte le bevande alcoliche.

La perizia segnalò, al contrario, la presenza nella vittima solo di metaboliti del metanolo, dimostrazione che la sostanza letale venne somministrata alla vittima diluita in una sostanza che non conteneva altro alcol, come probabilmente una tisana.

Su questo punto la difesa contesta un aspetto formale della sentenza e cioè che la condanna all’ergastolo è stata inflitta per un presunto omicidio compiuto con modalità diverse da quelle indicate nel capo d’imputazione dato che l’ipotesi contenuta nel capo d’imputazione (mix alcolico) non ha trovato riscontro scientifico. In realtà la Corte d’assise ritenne che la modifica della ricostruzione delle fasi del delitto non abbia cambiato nulla sotto il profilo delle responsabilità penali contestate. Ora nei motivi d’ appello, l’avvocato Boris Dubini contesta in primo luogo che l’inchiesta non abbia preso in seria considerazione ipotesi alternative per la morte di Josef Surkala. Non solo. Per il legale nel corso dell’inchiesta non sarebbe neppure emersa alcuna prova (e nemmeno un indizio) sul trasporto di metanolo dalla Repubblica Ceca in Italia da parte dell’imputata. Al contrario è provato - secondo il legale - che presso l’azienda agricola ove la vittima lavorava «vi fosse almeno una sostanza con un tasso metilico pressoché sovrapponibile a quello che aveva portato alla morte l’operaio agricolo». Nell’atto d’appello, l’avvocato Dubini ripropone le contestazioni ai medici dell’ospedale di Bolzano che non decisero in tempo di somministrare un antidoto alla vittima e sostiene che in sentenza non è stato spiegato perchè i giudici abbiano «conferito la massima credibilità ai testimoni della pubblica accusa nonostante le loro palesi incongruenze».

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