L'inchiesta

Contributi Covid truffaldini, la Procura vuole il processo 

Due commercianti nei guai:avevano presentato una documentazione infedele ottenendo 70 mila euro a fondo perduto dallo Stato per superare la crisi del 2020. Chiesto il rinvio a giudizio



BOLZANO. Due commercianti stranieri che operano a bolzano rischiano il processo con l’accusa di truffa ai danni dello Stato. La Procura della Repubblica ha infatti chiesto il rinvio a giudizio a conclusione dell’indagine avviata nei mesi scorsi su segnalazione della Guardia di Finanza. I due commercianti sono accusati di aver presentato documentazione infedele a sostegno di una richiesta di contributo per superare la crisi provocata dal periodo di lockdown legato all’emergenza Covid.

L’udienza preliminare davanti al Gup è stata rinviata ma il caso dovrebbe tornare tra breve in aula. Protagonisti della disavventura giudiziaria sono due commercianti extracomunitari titolari di un esercizio commerciale in zona Don Bosco.

Secondo il capo d’imputazione, i due sarebbero riusciti a farsi liquidare dallo Stato in poche settimane settanta mila euro di contributo (come detto a fondo perduto) con una documentazione fasulla (ed anche poco credibile) basata per lo più su autocertificazioni riguardanti l’andamento economico dell’azienda. Ad allertare la Guardia di Finanza fu il commercialista al quale i due indagati si erano rinvolti per inoltrare la pratica.

Sembra però l’allarme sia scattato con un pizzico di ritardo rispetto all’accreditamento della somma sul conto corrente della ditta in questione. In effetti quando intervenne la Guardia di Finanza parte della somma accreditata dallo Stato era già stata prelevata. Sulla vicenda la Procura della Repubblica ha però subito avviato un procedimento penale a carico di due persone: uno è il titolare del negozio che risulta in attività nel rione Don Bosco ed il secondo è un amico che - secondo l’accusa - gli avrebbe preparato gli incartamenti fasulli per mettere a segno il disegno truffaldino.

L’ipotesi di reato contestata e di «indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (articolo 316 ter del codice penale) che punisce penalmente «chi ottiene contributi concessi dallo Stato mediante l’utilizzo di dichiarazioni e documenti falsi o attestanti cose non vere».

I due inquisiti rischiano una condanna da sei mesi a tre anni. Nel frattempo parte della somma elargita è sparita. L’inchiesta ha permesso di appurare che l’istanza, con dati palesemente fasulli, è stata presentata all’Agenzia delle Entrate il 14 luglio di due anni fa sulla base delle opportunità offerte dal cosiddetto «Decreto rilancio».

I dati riportati nella pratica sono clamorosi e sembrano dimostrare l’assenza di adeguati controlli sul presunto calo di fatturato da imputare all’emergenza Covid. I due inquisiti, infatti, non si erano fatti problemi ad indicare che nel 2019 l’attività del negozio aveva permesso di raggiungere (nel solo mese di aprile) un fatturato del tutto inverosimile di 350 mila euro, totalmente azzerato nell’aprile del 2020 a seguito della pandemia. MA.BE.













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