«Così lo abbiamo salvato in extremis» 

Il racconto dei sette roveretani “eroi” che hanno recuperato uno scialpinista: «Abbiamo soltanto fatto il nostro dovere» 


di Michele Stinghen


BOLZANO. Il giovane sciatore altoatesino rimasto sepolto sotto una valanga domenica a Punta Lavine, sui monti Sarentini, deve loro la vita. Sono sette scialpinisti roveretani, quattro dei quali istruttori della scuola di alpinismo e scialpinismo Castel Corno di Rovereto, che - trovatisi per caso nello stesso luogo appena dopo l'incidente - lo hanno individuato con l'Artva sotto la neve e lo hanno riportato alla luce, scavando per due metri nella neve. I sette hanno messo in pratica quanto insegnano ogni anno agli iscritti ai corsi della Sat, la sezione trentina del Club alpino italiano, e che provano e riprovano ogni anno in innumerevoli corsi di aggiornamento.

«Abbiamo fatto quello che c'era da fare - commenta Piarosa Vigagni, una delle istruttrici - quando c'è una persona in pericolo va salvata e basta».

La giornata di domenica è perfetta per una escursione in montagna, e adatta anche ad una gita di scialpinismo. Sui Sarentini la neve è abbondante, tuttavia c'è da stare attenti a dove si va, il bollettino dà pericolo 3, suggerendo prudenza ed esperienza nel valutare il terreno e il rischio valanghe. I sette amici roveretani - oltre a Vigagni, Marco Caden, Alessandro Cappelletti e Manuela Nave (istruttori di sci alpinismo della Castel Corno) e con loro Andrea Cazzanelli e Gianluigi Perzolli di Mori, e Lara Mazzetti di Rovereto - optano per la loro gita domenicale su Punta Lavine, decidendo di risalirla dal versante nord. Il percorso non dà grossi problemi fino ad un pianoro sotto la vetta, dove la montagna presenta un versante ripido. Il gruppo sbuca, ancora in salita e con le pelli di foca sotto gli sci, nel tratto pianeggiante sotto la cima pochi istanti dopo l'incidente. La scena che si presenta non lascia dubbi.

La slavina è appena caduta, e ha investito un gruppo di tre sciatori, che stavano scendendo dalla vetta. Una di loro, una ragazza, è rimasta fuori dalla massa di neve, che invece ha travolto gli altri due. Uno degli uomini - Thomas, 32 anni di Terlano - è stato trascinato in una zona rocciosa, e quindi non è stato seppellito, mentre l'altro è sotto la neve, invisibile. Thomas - dimesso ieri dall’ospedale di Bressanone con una ferita alla gamba - ricorda di essere stato travolto: «Mentre rotolavo capivo quel che stava succedendo. Ringrazio i ragazzi che ci hanno aiutato a tirare fuori il nostro amico. Senza di loro non ce l’avremmo fatta. La montagna? Non ha colpe, è stata solo sfortuna». Così i roveretani: «Abbiamo capito subito che era rimasta sotto la neve una persona, e ci siamo messi immediatamente alla ricerca», racconta Vigagni. Nel frattempo vengono chiamati i soccorsi. I sette si suddividono i compiti, Vigagni controlla il pendio soprastante e viene captato il segnale del sepolto con l'Artva. Questo è importantissimo: in questo modo uno di loro, Alessandro Cappelletti, individua subito lo sciatore sotto la neve toccandone il casco con la sonda. Si aggiunge un altro scialpinista sopraggiunto nel frattempo, e tutti, con compiti diversi, si mettono a scavare: il travolto è in piedi, sopra la testa un metro e 10 di neve. «In 11-12 minuti gli abbiamo liberato le vie aeree, lui aveva neve in bocca», racconta Vigagni. È Manuela Nave a liberargli le vie orali: il sepolto prende un grosso respiro. Ancora qualche tempo e avrebbe rischiato di morire asfissiato. I soccorritori arrivano in elicottero, il medico controlla lo sciatore, e si continua a scavare per un altro metro e 30, fino a liberare completamente il giovane, che viene portato via in barella all’elicottero, senza però gravi traumi.

I soccorritori hanno subito constatato l'ottimo lavoro compiuto dai roveretani, tanto che lasciano a loro il compito di terminare lo scavo, mentre verificano - grazie ad un’unità cinofila - che non ci siano altre persone sotto la neve. Anche gli altri due travolti vengono portati via con l'elicottero, compresa la ragazza, in parte sotto shock dopo l'episodio. Gli sciatori restano ancora un po' prima di scendere a valle: osservano il pendio, la valanga è stata provocata dal distacco di un lastrone, spesso 40 centimetri e con un fronte di ottanta metri. Una valanga non molto grande, ma che - se non ci fossero stati i sette sciatori roveretani - sarebbe stata mortale.















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