Assistenza

Dopo l’obbligo di vaccino molte badanti se ne vanno 

Tra le collaboratrici domestiche arrivate dai paesi dell’Est molte sono no-vax e preferiscono farsi licenziare piuttosto che ottenere il green pass obbligatorio dal 15 dicembre



BOLZANO. Quello che stanno vivendo moltissime badanti, anche in Alto Adige, è un periodo particolarmente difficile. Per ragioni sanitarie, ma anche per ragioni politiche. Fin dal momento in cui è stato possibile accedere alle vaccinazioni, la categoria delle collaboratrici domestiche, composta quasi totalmente da donne provenienti dai paesi dell’Est, è stata quella che più opposto resistenza al vaccino. Sono tante, tantissime le no-vax, insomma, fermamente contrarie a farsi vaccinare e, quindi, ad ottenere quel green pass che, dal 15 dicembre scorso, è obbligatorio per tutte quelle persone che esercitano a domicilio le professioni sanitarie. No-vax tanto convinte da rinunciare senza battere ciglio al loro lavoro, quel lavoro che gli garantiva buoni guadagni e per ottenere il quale erano state disposte a lasciare casa ed affetti, a cui in molti casi inviano parte dello stipendio.

«Abbiamo registrato molti casi di collaboratrici domestiche assolutamente restie all’ipotesi vaccino – spiega Andrea Camera della Cgil – e che, per questo, hanno perso il lavoro. Tra loro, quelle più in difficoltà, sono le badanti conviventi, quelle che passando da un rapporto all’altro di convivenza con le persone che assistono, ora si trovano senza un’occupazione, senza una casa e anche senza le risorse economiche sufficienti per affittarne una. Ne abbiamo aiutate alcune anche grazie alla collaborazione con Caritas». Tutto questo senza considerare i disagi a cui devono far fronte gli anziani e i loro assistiti che, loro malgrado, si trovano all’improvviso senza l’indispensabile assistenza di una collaboratrice domestica.

Preoccupano anche i venti di guerra che soffiano prepotenti tra Kiev e Mosca. «In questo momento – continua Camera – molte badanti sono in ferie in Ucraina e i timori sono principalmente legati alle difficoltà che potrebbero incontrare al momento del loro rientro in Italia, nel caso in cui la situazione con la Russia dovesse precipitare».

Per quanto riguarda la possibile invasione delle truppe russe, invece, gran parte delle collaboratrici sembra assai meno preoccupata di quanto lo sia la comunità internazionale. A chi le chiedeva se non temesse un’invasione russa e l’inizio di una guerra, una di loro ha rivelato, serafica, di vedere una situazione meno drammatica di quanto paia all’Occidente.

«Con le mie amiche parlo molto spesso russo – ha spiegato – e l’eventualità che i russi occupino l’Ucraina non ci pare così catastrofica, sempre che ciò accada nella maniera meno cruenta possibile, ovviamente». Una lettura senza dubbio superficiale di una situazione a dir poco esplosiva, ma che nasce dalla storia stessa dell’Ucraina, staccatasi ufficialmente dall’Unione sovietica nel luglio del 1990, dopo ben 68 anni (ne era entrata a far parte nel 1922) passati come Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. Chi ha vissuto quel cambiamento, insomma, stenta ancora a vedere la Russia come un nemico.













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