femminicidio

Fatima, una vita da prigioniera aspettando Zeeshan a casa 

Nelle motivazioni della sentenza che ha condannato il marito all'ergastolo emerge l’insofferenza della donna per la situazione in cui si trovava. La Corte d’assise ha negato le attenuanti



BOLZANO. Il diario con le parole italiane interrotto dopo un primo periodo, le visite dalla ginecologa sempre accompagnata dal marito, l’appartamento tenuto con grande cura. «Si può ritenere e affermare che la vita di coppia fosse in qualche modo arida, con mustafa impegnato al massimo nel lavoro e fatima essenzialmente limitata a casa in attesa del marito e delle poche occasioni in cui con lui usciva per esempio per fare la spesa». È questa la sintesi contenuta nelle motivazioni della sentenza con la quale la Corte d’assise ha condannato Mustafa Zeeshan all’ergastolo con isolamento diurno per sei mesi per il femminicidio pluriaggravato di Fatima, la donna incinta all’ottavo mese con cui il 41enne originario del Pakistan era sposato. Nella loro casa di Versciaco nella notte tra il 29 e il 30 gennaio del 2020. La sentenza di condanna risale allo scorso 11 marzo, mentre le motivazioni sono quelle depositate lo scorso fine settimana.

«Zeeshan era lucido»

La Corte ha escluso ogni patologia che potesse in qualche modo incidere sulla capacità di intendere e di volere di Zeeshan con il conseguente rigetto di un supplemento di perizia avanzato dalla difesa. Le motivazioni della sentenza riferiscono che «l’aspetto del movente è rimasto sullo sfondo nel senso che non è possibile affermare con assoluta certezza quali siano le intime ragioni che abbiano condotto l’imputato a compiere un gesto che ha tragicamente posto fine alla vita di Fatima e della nascitura e a rovinare certamente in modo definitico anche la vita dell’imputato». Una considerazione che in ogni caso, prosegue la Corte presieduta dal giudice Carlo Busato, «non è assolutamente necessaria ai fini della decisione». Invece hanno svolto un ruolo chiave le risultanze degli aspetti scientifici.

La vita di Fatima a Versciaco

Sono le testimonianze di conoscenti e familiari e le condizioni in cui la notte del femminicidio gli inquirenti trovarono l’appartamento della coppia – in ordine, ben tenuto e curato – a restituire uno scorcio della vita di Fatima e Mustafa Zeeshan nel piccolo paese della val Pusteria. Si sarebbero conosciuti il giorno del matrimonio in Pakistan. All’inizio del 2019 Fatima raggiunse il marito in Italia, a Versciaco, dove in sostanza ebbe inizio la loro vera vita matrimoniale. Gli elementi che testimoniano «nella prima parte della vita in comune» un accudimento di Zeeshan nei confronti della moglie sono il diario in cui venivano annotate le parole italiane da imparare e il fatto che il marito accompagnasse la moglie alle visite ginecologiche. Al contempo però emerge dall’interruzione del diario «come poi nella quotidianità sia certamente subentrato un elemento di povertà affettiva», dice la sentenza. La ginecologa ha riferito «un’impressione di tristezza e mestizia nel comportamento di Fatima», che durante le visite «interloquiva solo con il marito».

Gli unici contatti di Fatima, che trascorreva la maggior parte del tempo a casa, erano con i familiari propri e con quelli del marito, via social. Dalle conversazioni con i parenti della donna «emergeva in modo molto larvato una situazione di insofferenza per il tipo di vita che in quel momento Fatima stava conducendo ma al tempo stesso di consapevolezza del proprio futuro ruolo di madre», così la Corte.

L’atteggiamento di Zeeshan

La sentenza include le ragioni che hanno portato la Corte a negare all’imputato le circostanze attenuanti generiche, dopo aver confermato tutte le aggravanti – dall’«abuso di relazioni domestiche e coabitazione» a quelle legate alla gravidanza e alla corporatura esile di Fatima.

Nel corso delle indagini, Zeeshan ha mantenuto un comportamento collaborativo. Ma quando si è trattato di ricostruire le precise circostanze dell’uccisione, avrebbe tenuto secondo le considerazioni del professor Eraldo Mancioppi, incaricato della perizia, «un atteggiamento oppositivo, di chiusura, di mutamento di versioni, di negazione di circostanze evidenti».

«L’accorta lettura dei dialoghi intercettati tra l’imputato e i familiari in più occasioni», prosegue la Corte, «permette di cogliere che l’imputato esprima non tanto una situazione di lutto quanto una accettazione rassegnata di una volontà di Allah che aveva posto fine alla vita di Fatima. In altri termini si respira un atteggiamento di fatalismo che per quanto culturalmente diverso non è interpretabile come espressione di lutto». Un fatalismo tale da fare affermare all’imputato in una intercettazione «che la situazione è questa e quindi lui si sposerà un’altra volta», così è riferito ancora nelle motivazioni.

S.M.

 













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